Regime tributario degli enti ecclesiastici: da tempo, l’ordinamento italiano riserva un regime fiscale agevolato agli enti confessionali con fine di religione o di culto, come pure alle attività dirette a tali scopi, in virtù del principio di equiparazione agli enti con fini di beneficenza o di istruzione (disposto per gli enti cattolici, in passato, dall’art. 29, lett. h, del Concordato e oggi dall’art. 7.3 dell’Accordo, e per gli istituti delle altre confessioni eretti in ente morale dall’art. 12 r.d. n. 289 del 1930, o da apposite norme nelle intese).

A seguito della riforma tributaria avviata nel 1970, la materia delle agevolazioni tributarie degli enti ecclesiastici è stata riordinata nell’ambito della disciplina degli enti non commerciali, assimilati alla categoria degli enti no profit per la mancanza di lucro soggettivo. Per quanto attiene alle attività diverse da quelle di religione e di culto, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono legittimamente svolgerle (art. 15 L. n. 222 del 1985), ma le stesse “sono soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”, anche se “nel rispetto della struttura e delle finalità tipiche di tali enti” (art. 7.3 Accordo e art. 16, lett. b, L. n. 222 del 1985; regole sostanzialmente analoghe sono previste in tutte le intese). Implicazione di questo principio è la regola secondo cui “l’ente ecclesiastico che svolge attività per le quali sia prescritta dalle leggi tributarie la tenuta di scritture contabili deve osservare le norme circa tali scritture relative alle specifiche attività esercitate” (art. 8 d.p.r. n. 33 del 1987).

Non vi è dunque alcun’esenzione speciale da obblighi e oneri civilistici: l’ente confessionale usufruisce di un regime di specialità riguardo alle sole attività di religione e di culto. Le norme che prevedono agevolazioni fiscali per gli enti confessionali devono essere considerate, al pari delle altre, di stretta interpretazione (Cass., sez. trib., n. 381 del 2006).

Principali agevolazioni degli enti ecclesiastici:
  1. IRES (ai sensi del d.lgs. n. 344 del 2003, già IRPEG) – L’equiparazione del fine di religione e di culto ai fini di beneficenza e istruzione comporta la riduzione del 50% dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche (ex art. 6, 1° e 2° comma, lett. h, d.p.r. n. 601 del 1973, modificato da art. 66.8 d.l. n. 331 del 1993, convertito in L. n. 427 del 1993), a condizione che essi siano civilmente riconosciuti. Tuttavia le norme pattizie in vigore prevedono l’equiparazione anche delle attività dirette agli scopi di religione o di culto, e sembrano così estendere l’agevolazione agli enti confessionali non riconosciuti o riconosciuti come persona giuridica privata. Sono escluse dall’agevolazione le attività commerciali svolte dagli enti ecclesiastici. L’agevolazione, peraltro, è applicabile solo se l’attività esercitata in concreto dagli enti resti nell’ambito dei loro fini istituzionali tipici, ovvero si ponga in rapporto di strumentalità diretta e immediata con quei fini (Cass., sez. I, n. 2573 del 1990).
  2. IVA – In generale, l’ente ecclesiastico non è ricompreso tra i soggetti passivi dell’IVA, in quanto non ha come oggetto principale l’esercizio abituale di un’attività commerciale. Non si tratta di un’esclusione assoluta, poiché occorre circoscrivere le singole operazioni commerciali; e vale ragionevolmente quando queste siano sporadiche e non abituali. La produzione e commercializzazione di pubblicazioni a stampa delle associazioni religiose, anche se conformi alle finalità istituzionali, costituiscono attività commerciale, e come tali sono tassate, se cedute in prevalenza all’esterno della cerchia degli associati (Cass., sez. I, n. 1753 del 1997, con riguardo alle pubblicazioni della Congregazione dei Testimoni di Geova). Invece, la cessione di pubblicazioni effettuata prevalentemente nei confronti degli associati non riveste carattere di attività commerciale ai fini dell’applicabilità dell’imposta (art. 4.5, lett. a, d.p.r. n. 633 del 1972, per la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, e successive modificazioni). Invero, la natura religiosa dell’associazione non vale di per sé a escludere che la stessa svolga anche attività di natura commerciale la quale, pertanto, è assoggettata ai tributi previsti per tale attività (Cass., sez. trib., n. 16345 del 2008 in relazione all’IVA).
  3. IMU (ICI) – La disciplina previgente (art. 7, comma 2° bis, L. n. 248 del 2005) aveva accordato un’esenzione generalizzata “a prescindere dalla natura eventualmente commerciale” delle attività 10, con una previsione in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato per il quale gli immobili di proprietà di enti soggettivamente non commerciali sottostanno all’ICI se destinati ad attività oggettivamente commerciali (Cass., sez. trib., n. 4573 e n. 4645 del 2004, n. 6316 del 2005; in tal senso da ultimo Cass., sez. trib., n. 23584 del 2011). La Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità della normativa (art. 59, 1° comma, lett. c, d.lgs. n. 446 del 1997) che attribuisce ai Comuni la facoltà di stabilire che l’esenzione dall’ICI si applichi soltanto ai fabbricati (esclusi quindi i terreni agricoli e le aree fabbricabili) e a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale, perché tale disciplina non innova i requisiti soggettivi dell’esenzione già riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimità (ord. n. 19 del 2007 e n. 429 del 2006). In riferimento a questa disciplina (e all’art. 149, 4° comma TUIR, in base al quale in deroga al regime comune gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti – insieme alle associazioni sportive dilettantesche – non perdono la qualifica di enti non commerciali anche se svolgono prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta), la Commissione europea ha avviato nel 2010 nei confronti della Repubblica italiana una procedura di indagine formale – ai sensi dell’art. 108, par. 2, del TFUE – in relazione all’ipotizzato aiuto di Stato, volto a falsare la concorrenza e gli scambi comunitari, del quale beneficerebbero gli enti religiosi (e le Onlus) in considerazione dell’esenzione dal pagamento dell’ICI relativo agli immobili utilizzati anche a fini commerciali. Nel 2012 la Commissione europea ha giudicato tali esenzioni incompatibili con le norme comunitarie (per il periodo 2006-2011) in quanto permettevano agli enti non commerciali, tra i quali quelli ecclesiastici, attività “di natura non esclusivamente commerciale”, ma non ha imposto all’Italia di recuperare “gli aiuti” (imposte arretrate a carico della Chiesa cattolica) perché le autorità italiane hanno dimostrato che è oggettivamente impossibile determinare quale porzione dell’immobile sia stata utilizzata in modo esclusivo per attività non commerciali. Con l’occasione del rapido evolvere della disciplina della tassazione comunale sugli immobili degli ultimi anni, si è pervenuti all’abrogazione dell’ICI e alla introduzione di un’imposta municipale unica sulla componente immobiliare, l’IMU (L. n. 27 del 2012 di conversione, con modifiche, del d.l. n. 1 del 2012, che detta disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), rispetto alla quale è stata ripensata anche l’esenzione degli enti ecclesiastici. La nuova disciplina mira a risolvere i problemi di compatibilità comunitaria e in certo modo sembra recepire l’esperienza giurisprudenziale elaborata vigente l’ICI (art. 91 bis). Il 1° comma dell’art. 91 bis, stabilisce espressamente che l’esenzione dall’IMU riguardi l’immobile dell’ente ecclesiastico in cui l’attività svolta (che rientri tra quelle elencate dall’art. 16 lett. a L. n. 222 del 1985) sia esercitata necessariamente “con modalità non commerciali” (inciso inserito al 1° comma, lett. i, art. 7 d.lgs. n. 504 del 1992 dopo le parole “allo svolgimento”). Dunque, come già precisato in giurisprudenza, si dovrà procedere con un accertamento in concreto, verificando che i costi di gestione non siano coperti con i corrispettivi (non rilevando che ciò avvenga per effetto della beneficenza o di contributi pubblici a fondo perduto). Il 2° comma, inoltre, prevede uno specifico regime nel caso di “un’utilizzazione mista” dell’unità immobiliare: in tal caso l’esenzione è limitata alla frazione di unità in cui si svolge l’attività sociale, quando sia individuabile con precisione; diversamente, si applicherà in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile. Il 3° comma dispone che, qualora non sia applicabile il 2° comma, vertendosi cioè nel caso di “utilizzazione mista indistinta”, l’esenzione si applichi in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione (le modalità e le procedure, relative alla predetta dichiarazione, e gli elementi rilevanti, ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale, sono regolamentate con Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 19 novembre 2012, n. 200). In relazione alle imposte locali sugli immobili, la Cedu ha escluso la violazione degli artt. 9 e 14 CEDU qualora la normativa nazionale distingua l’esenzione in forma totale per gli edifici di culto aperti al pubblico e l’esenzione parziale (80%) per gli edifici di culto e le altre proprietà di confessioni religiose non aperte al pubblico ma utilizzate per scopi di charity; ed ha affermato che la legislazione tributaria può essere presa in esame alla luce dell’art. 9 CEDU, perché da essa possono derivare oneri tali da incidere sull’esercizio del diritto di libertà religiosa (Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni c. Regno Unito 4 marzo 2014).

In materia di donazioni manuali o di modico valore, esiste un’ampia giurisprudenza della Cedu che condanna lo Stato nazionale il cui ordinamento ne ammetta la tassazione in quanto, in tal modo, si priva l’associazione di una fonte importante di finanziamenti ai fini dell’esercizio della libertà religiosa e senza che tale limitazione sia fondata sulla legge come stabilito dall’art. 9 CEDU.

Per gli enti religiosi si segnalano anche agevolazioni in materia di imposta comunale sulle pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni (d.p.r. n. 639 del 1972).