La decadenza del Fisco non giustifica l’accertamento ante tempus: l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione (sottoscrizione) dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, salvo che ricorrano particolari e motivate ragioni di urgenza (Ordinanza n. 20808/2017 della Suprema Corte di Cassazione). La scadenza del termine decadenziale e/o di prescrizione dell’azione accertativa non giustifica l’inosservanza del termine di 60 giorni.

L’inosservanza del suddetto termine di 60 giorni, è consentita, quindi, solo in ipotesi di particolare e comprovata urgenza ed è onere del Fisco addurre le relative prove che il giudice incaricato sarà tenuto a valutare. L’Amministrazione finanziaria, come detto “è tenuta ad addurre le ragioni per le quali non è stato possibile iniziare tempestivamente la verifica fiscale, ovvero le ragioni sopravvenute che hanno impedito un tempestivo ed ordinato svolgimento dell’attività di controllo” (Cass. 3142/2014).

Le ragioni che giustificano la deroga non possono essere ricondotte alla mera scadenza del termine di accertamento, perché così facendo si svuoterebbe la norma della sua funzione di garanzia. Sul si indica anche la sententenza della Cass. n. 9424/2014 che ha definitivamente affermato il principio di diritto in base al quale “la violazione dell’art. 12 comma 7 Legge n. 212/2000 è consentita solo ove sussistano ragioni di urgenza il cui onere probatorio ricade sul Fisco. Tali ragioni, non possono consistere nell’incombenza dello spirare del termine di decadenza previsto per l’accertamento da parte dell’Amministrazione, ove il ritardo sia dovuto esclusivamente ad ingiustificata inerzia o negligenza dell’Ufficio…”. 

Il Fisco deve dedurre le ragioni specifiche e particolari che hanno determinato l’emissione dell’atto ante tempus, che, peraltro, devono consistere “..in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa” (Cass. Ordinanza n. 22786/2015), pena la nullità dell’avviso d’accertamento. Tali ragioni di fatto possono, ad esempio, consistere in nuovi fatti emersi nel corso delle indagini fiscali o di procedimenti penali svolti nei confronti di terzi, in eventi eccezionali che hanno inciso sull’assetto organizzativo o sulla regolare programmazione dell’attività degli uffici, in condotte dolose, pretestuose o volutamente dilatorie del contribuente sottoposto a verifica (Cass. sent. n. 15121/2015).

Il Fisco non potrà, quindi, mai far ricadere sul contribuente le conseguenze della propria inerzia, stante il termine quinquennale che ha a disposizione per poter effettuare i controlli di cui necessita (a nulla, ad esempio, rilevando il fatto che la verifica sia stata iniziata a ridosso del termine prescrizionale per l’accertamento), anche perché, diversamente opinando, si verrebbe a giustificare un ritardo tutt’altro che occasionale, poiché in realtà fisiologico al modus operandi degli Uffici finanziari che, spesso, senza alcun motivo, portano a compimento l’accertamento a ridosso dello spirare del termine, svuotando così la norme della sua funzione di garanzia (Cass. sent. n.10069/2014). Le ipotesi di particolare e motivata urgenza possono ravvisarsi, quindi, nelle sole ipotesi di:

  • rischi di perdita del credito erariale;
  • accertamenti connessi alla consumazione di reati tributari.