Ordinanza n. 20055/2017 della Suprema Corte di Cassazione – Sez. 5° civile – Presidente: Bielli Stefano – Relatore: Perrino Angelina Maria – pubblicata in data 11/08/2017

Accertamento fiscale e costi non contabilizzati: la Suprema Corte con Ordinanza n. 20055/2017 del 20.6.2017, pubblicata in data 11.8.2017, ha chiarito che anche i costi non contabilizzati sono da imputare nel calcolo della maggiore imposta a seguito di un accertamento fiscale, poiché “se si facesse coincidere, a titolo di sanzione, … il profitto lordo con quello netto, si andrebbe addirittura al di là della ratio sanzionatoria della disposizione, in quanto si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, quanto, secondo lo stesso accertamento dell’ufficio, reddito non è: risultato, questo, collidente con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost., comma 1”.

FATTO

L’Agenzia delle Entrate ha emesso avvisi di accertamento ed ha iscritto a ruolo i relativi importi per gli anni d’imposta 2001 e 2002 nei confronti di …, esercente attività d’intermediario e di rappresentante di commercio di prodotti alimentari, in base al rinvenimento di fatture ed alle risposte ottenute a seguito dell’invio di questionari a clienti e fornitori, a fronte dell’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, dell’IVA e dell’IRAP.

Il contribuente ha impugnato gli avvisi, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale, ma quella regionale ha accolto l’appello dell’Agenzia, sostenendo che, a fronte della mancanza delle dichiarazioni e dell’inosservanza degli obblighi contabili, oltre che dell’assenza di vidimazione sui registri delle fatture, dell’IVA e dei beni ammortizzabili, non potessero essere riconosciuti, come avrebbe voluto il contribuente, i costi sostenuti.

Il contribuente proponeva ricorso avverso questa sentenza per ottenerne la cassazione in base ad un unico motivo, il quale s’incentrava sul mancato riconoscimento dei costi ai fini della determinazione del reddito imponibile, e ciò in base alla deduzione di violazione degli artt. 2423 c.c., 109 (già 75) del d.P.R. n. 917/86, nonché degli artt. 38, 39, 41 e 42 del d.P.R. n. 600/73, in relazione all’art. 53 Cost..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il motivo veniva dichiarato fondato, alla luce dell’orientamento in base al quale, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917 del 1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (Cass. 20 gennaio 2017, n. 1506).

Al riguardo la Corte sottolineava che, se così non fosse, cioè, “se si facesse coincidere, a titolo di sanzione (in relazione all’inopponibilità di poste passive non contabilizzate regolarmente), il profitto lordo con quello netto, si andrebbe addirittura al di là della ratio sanzionatoria della disposizione, in quanto si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, quanto, secondo lo stesso accertamento dell’ufficio, reddito non è: risultato, questo, collidente con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost., comma 1”.

Il ricorso veniva in conseguenza accolto e la sentenza cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Calabria in diversa composizione, affinché determini i costi in questione.