Sentenza n. 11504/17 della Corte di Cassazione

Con una sentenza dal contenuto revoluzionario, la Suprema Corte muta il proprio orientamento in materia di assegno divorzile. Il richiedente dell’assegno divorzile dovrà provare in giudizio la effettiva mancanza dei “mezzi adeguati”, nonché la oggettiva impossibilità di procurarseli lui stesso. Il “tenore di vita” non è più un criterio.

Con il divorzio il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi (i quali devono considerarsi da allora in poi “persone singole”), sia dei loro rapporti economico-patrimoniali ed in particolare del reciproco dovere di assistenza morale e materiale.

Per tale motivo, il diritto all’assegno divorzile potrà essere riconosciuto solamente in mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente o, comunque, nel caso di impossibilità dello stesso “di procurarseli per ragioni oggettive”.

 Il Giudice procederà in due fasi:

  1. Fase del riconoscimento o no del diritto all’assegno divorzile (fase dell’an debeatur);
  2. Fase della determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).

Al fine di riconoscere o meno il diritto è indispensabile comprendere bene i parametri di riferimento, cioè, l’”adeguatezza – inadeguatezza” dei mezzi del richiedente l’assegno e la “possibilità – impossibilità di procurarseli” dallo stesso.

A tal fine il Giudice verificherà se il richiedente dell’assegno è in possesso di:

  1. redditi di qualsiasi specie;
  2. cespiti patrimoniali ed immobiliari;
  3. capacità e possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato di lavoro dipendente o autonomo;
  4. stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Conseguentemente possiamo individuare due ipotesi:

  1. Se l’ex coniuge richiedente l’assegno possiede “mezzi adeguati” o è effettivamente in grado di procurarseli, il diritto deve essergli negato tout court;
  2. Se l’ex coniuge dimostra di non possedere mezzi adeguati e prova anche che “non può procurarseli per ragioni oggettive”, il diritto deve essergli riconosciuto.

Grava sul richiedente l’onere della prova della sussistenza delle suddette condizioni.

La Suprema Corte ritiene inapplicabile il parametro del “tenore di vita”, perché, come detto, con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale (a differenza di quanto accade con la separazione personale).

E’ significativo al riguardo quanto affermato dalla sentenza n. 114/1990 delle Sezioni Unite: “…lo scopo di evitare rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utilizzando in maniera prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione supra descritti, che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonché a responsabilizzare il coniuge che pretende l’assegno, imponendogli di attivarsi per realizzare la propria personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale…”.

La menzionata sentenza della Cassazione è nata dalla necessità di comtemperare e superare la concezione patrimonialistica del matrimonio, inteso come “sistemazione definitiva”.

D’altra parte, l’effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico patrimoniali del vincolo coniugale può diventare un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo (Cass. n. 6289/2014), ricompresi tra quelli riconosciuti dalla CEDU (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9).

Il diritto all’assegno divorzile, quindi, non è dato dalla necessità di riequilibrare le condizioni economiche dell’ex coniuge, ma dalla necessità del raggiungimento della indipendenza economica.

Per tale ragione, la funzione dell’assegno divorzile è esclusivamente assistenziale.

Infatti, nel giudizio del riconoscimento o no del diritto all’assegno divorzile, non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l’assegno successivamente al divorzio.

Il parametro di “tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori” si riferisce esclusivamente al figlio minorenne e ai criteri per la determinazione (“quantificazione”) del contributo di “mantenimento”, inteso latu sensu, a garanzia della stabilità e della continuità dello status filiationis, indipendentemente dalle vicende matrimoniali dei genitori.

Un altro principio ricordato dalla presente sentenza, estremamente importante, è quello dell’”autoresponsabilità economica”.

La Corte, con sentenza n. 18076/2014, escludeva, infatti, l’esistenza di un obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero un diritto all’assegnazione della casa coniugale di proprietà del marito, sul mero presupposto dello stato di disoccupazione dei figli, pur nell’ambito di un contesto di crisi economica e sociale.

Il suddetto principio di “autoresponsabilità” vale certamente anche per l’istituto del divorzio, presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell’Unione, prevedendo rigorosi e radicali regole di piena autoresponsabilità economica degli ex coniugi, salve limitate, anche nel tempo, eccezioni di ausilio economico in caso di dimostrate e specifiche ragioni di solidarietà.

In conclusione, per ottenere l’assegno divorzile il richiedente dovrà provare in giudizio la effettiva mancanza dei “mezzi adeguati”, nonché la oggettiva impossibilità di procurarseli lui stesso. Il “tenore di vita” non è più un criterio.