Sentenza n. 913/2020 (RG. n. 9/2020) della Corte di Appello di Milano – Sezione Lavoro, depositata in data 6.4.2021, relatrice Dott.ssa Perna Fiorella (scaricabile in PDF).

CARTELLE ESATTORIALI E INTERESSE AD AGIRE – IL CONTRIBUENTE HA SEMPRE INTERESSE A VEDERSI ANNULLARE I CREDITI PRESCRITTI – CAMBIA L’ORIENTAMENTO ANCHE A MILANO

“…l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo, in quanto sorto nel corso del giudizio a seguito della contestazione sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti”.

FATTI

Il contribuente ha proposto, avanti il Tribunale di Milano Sezione Lavoro, opposizione avverso 3 cartelle di pagamento, richiedendo dichiararsi l’inesistenza e/o la nullità delle stesse, la conseguente annullamento dei relativi ruoli e la revoca della pretesa creditoria:

  • in quanto le cartelle non risultano, ex art. 60 del DPR. n. 600/73, essere state (regolarmente) notificate ed
  • in ogni caso il relativo credito risulta prescritto.

L’INPS si costituiva in giudizio, eccependo la propria legittimazione passiva, nonché l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse ad agire. Successivamente, si costituiva in giudizio anche Agenzia delle Entrate Riscossione, eccependo unicamente l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse.

All’udienza del 17.10.2019, il Tribunale, in persona del Dott. Tullio Parillo, con sentenza n. 2339/2019, rigettava la domanda della ricorrente, dichiarando inammissibile il ricorso per carenza d’interesse ad agire. A fondamento della decisione, il Tribunale ha richiamato l’orientamento espresso dalla S.C. nelle sentenze n. 19704/15 e n. 22946/16, secondo cui l’estratto di ruolo, in difetto di attivazione di una procedura esecutiva, è insuscettibile di autonoma impugnativa per carenza di interesse ad agire in capo all’contribuente.

La ricorrente, con il patrocinio degli Avv.ti Margherita Kòsa e Francesco Musacchio (Studio Legale Kòsa MusacchioClick Avvocato), ha proposto appello avverso la citata sentenza per i seguenti motivi:

  1. In relazione alle notifiche: il Tribunale ha omesso di trarre le conseguenze dagli elementi circa l’invalidità della notifica delle cartelle impugnate e porre a fondamento della decisione, ex art. 115 c.p.c., le prove proposte dalle parti;
  2. In relazione alla ammissibilità del ricorso: deve ritenersi ammissibile l’impugnazione della cartella conosciuta attraverso estratto di ruolo;
  3. In relazione alla ammissibilità del ricorso: deve ritenersi sussistente l’interesse della ricorrente ad eccepire ed agire per l’intervenuta prescrizione della pretesa tributaria anche successivamente alle regolari notifiche delle cartelle;
  4. In relazione alla condanna alle spese di lite / rimborso delle spese di lite: l’importo stabilito a titolo di rimborso delle spese legali debba indicare l’effettivo danno emergente dal conferimento d’incarico al legale.
MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte di Appello di Milano (relatrice Dott.ssa Perna Fiorella), con sentenza n. 913/2020, depositata in data 6.4.2021 (scaricabile in PDF), in accoglimento dell’appello proposto e modificando il consolidato (o molto criticabile) orientamento giurisprudenziale del Tribunale di Milano, ha ritenendo sussistente l’interesse ad agire, ex art. 100 c.p.c., in capo alla ricorrente, al fine di richiedere l’annullamento del credito previdenziale prescritto.

La Corte infatti precisa testualmente che:

Il “motivo di doglianza, formulato in contestazione della ritenuta insussistenza dell’autonoma impugnabilità del ruolo per difetto di interesse ad agire, è fondato in quanto coerente con l’orientamento ormai consolidato di questa Corte (ex plurimis: n. 245/20; 83/2020, 386/2020, 749/2019) la quale condivide, facendole proprie, le argomentazioni che la S.C. ha espresso nella decisione n. 29294/2019:

«la definitività dell’accertamento relativo alla sussistenza dei crediti contributivi portati dalla cartella, per effetto della mancata opposizione delle medesime, non è preclusiva dell’accertamento della prescrizione o di altri fatti comunque estintivi del credito maturati successivamente alla notifica delle cartelle in oggetto, laddove venga contestata l’effettiva prescrizione o estinzione dell’obbligo contributivo da parte dell’ente creditore. In tali ipotesi è necessario verificare in concreto, nella singola vicenda processuale, la sussistenza dell’interesse ad agire.

In linea generale, infatti, questa Corte di Cassazione … ha avuto modo di affermare che l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo, in quanto sorto nel corso del giudizio a seguito della contestazione sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, che non sia superabile se non con l’intervento del giudice».

Orbene, tanto premesso in merito alla sussistenza dell’interesse ad agire in capo all’appellante, disaminata la documentazione prodotta da AdER, il collegio rileva, relativamente alla cartella n. 06820060225532201000, l’assenza di prova della notificazione all’intimata. Atteso che unitamente alla mancata notificazione si è altresì introdotta la questione di merito relativa all’avvenuta prescrizione del credito, la stessa merita il vaglio giudiziale. Orbene, il collegio rileva che il titolo è stato formato nel 2006 e che successivamente a tale data non risulta la notificazione di atti interruttivi della prescrizione, quindi, atteso il decorso del termine prescrizionale quinquennale al momento di introduzione del giudizio, deve dichiararsi la prescrizione del credito portato dalla cartella n. 06820060225532201000.

Relativamente alla cartella n. 06820050426220554000 – con la precisazione che l’appellante ha confuso detta cartella con quella successiva quanto all’indicazione del vizio lamentato – , risulta depositato in atti l’avviso di ricevimento che, siccome non impugnato con querela di falso, deve ritenersi sottoscritto dalla destinataria (L’esibizione della cartolina di ritorno debitamente sottoscritta dall’Ufficiale Postale che in quanto tale certifica la consegna della raccomandata ad uno dei soggetti previsti dalla legge, comporta una presunzione di conoscenza superabile solo con la querela di falso (Cass. 15315/14)). Tuttavia, non vi è prova in atti che successivamente alla notificazione del predetto titolo, intervenuta in data 15.5.2006, siano stati notificati atti interruttivi della prescrizione, pertanto, atteso il decorso del termine quinquennale, anche in questo caso deve dichiararsi la prescrizione del credito.

Al proposito vale rilevare che la S.C. a SS. UU. con decisione n. 23397/16, ha affermato il seguente convincimento:

«La scadenza del termine, pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l’art. 3 commi 9 e 10, della l. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto istituto (art. 30 del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla l. n. 122 del 2010».

Detto orientamento giurisprudenziale, che il collegio condivide, è stato, peraltro, reiteratamente confermato da questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 1274/19.

Uguali considerazioni valgono relativamente alla cartella n. 06820050050022369367000, di cui l’Agenzia ha dato prova di regolare notificazione nell’anno 2005, mediante deposito dell’atto alla casa comunale ed inoltro del relativo avviso all’appellante. Anche in tal caso, in virtù delle argomentazioni sopra espresse per la cartella n. 06820050426220554000, posta l’assenza di prova della notificazione di atti interruttivi della prescrizione, deve dichiararsi la prescrizione della pretesa contributiva”.

Si ritiene quindi che la Corte milanese Sezione Lavoro abbia fatto un importante passo avanti in relazione ai diritti dei contribuenti, ai quali per molto tempo veniva negata la possibilità di agire in giudizio, al fine di ottenere l’annullamento dei crediti previdenziali (ma anche tributari), palesemente illegittimi, in quanto prescritti. Ad avviso della maggior parte delle pronunce milanesi, il contribuente, in maniera assurda, non aveva alcun interesse ad agire in giudizio e per avere interesse (ex art. 100 c.p.c.) doveva necessariamente attendere che il Fisco agisse esecutivamente o promuovesse azioni cautelari.

Tale fatto contribuiva esclusivamente ad aumentare il danno derivante da azioni esecutive o cautelari, portate avanti sulla base di pretese illegittime. Il citato orientamento permaneva nel tempo a Milano, nonostante le SS. UU. n. 19704/2015, già nel 2015 abbiano chiarito e sottolineato che:

“…nel frattempo aumenterebbe per il contribuente il pregiudizio connesso alla iscrizione in un registro di pubblici debitori nei confronti dei quali è stato avviato un procedimento di esecuzione coatta; tale pregiudizio, nonché quello derivante da un eventuale completamento della esecuzione senza possibilità per il contribuente di far valere le proprie ragioni dinanzi ad un giudice, potrebbero essere eventualmente fatti valere poi solo coi tempi e i modi di un’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione”, inoltre

“posticipare il momento in cui il contribuente può far valere l’illegittimità della pretesa non serve a “sveltire” l’azione di prelievo ma solo ad aumentare il danno derivante da azioni esecutive in ipotesi portate avanti sulla base di pretese illegittime”.

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(Studio Legale Kòsa Musacchio – Click Avvocato – Avvocato del contribuente).