Sentenza n. 1685 del 11.4.2017 della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia

Il domicilio fiscale: verrà individuato nel luogo dell’effettivo centro degli affari e degli interessi, non solo economici, ma anche morali e familiari, desumibile dal fattore dirimente della reale permanenza del soggetto nel territorio nazionale.

FATTO

L’Ufficio Centrale per il Contrasto agli Illeciti Fiscali Internazionali, a seguito dell’attività di controllo posta in essere al fine di individuare l’effettivo domicilio fiscale delle contribuenti, notificava avvisi di accertamento dei maggiori redditi percepiti nel territorio italiano e gli avvisi di contestazione relativi alla mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi e del quadro RW per gli anni da 2004 al 2010.

Le sorelle proponevano ricorso sostenendo la falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 bis, del DPR 917/86 in quanto i fatti portati a sostegno della tesi dall’Ufficio non erano sufficienti a qualificare come fiscalmente residenti in Italia le ricorrenti. Eccepivano inoltre la decadenza della potestà accertativa dell’Ufficio per superamento del termine previsto dall’art. 43 del DPR 600/73 e l’irretroattività del disposto dell’art. 12 del D.L. 78/2009 e, in via gradata, l’errata determinazione della capacità contributiva delle ricorrenti, nonché l’inapplicabilità delle sanzioni per obbiettive condizioni di incertezza e, in via ulteriormente gradata, chiedevano il cumulo giuridico per le sanzioni. Si costituiva l’Agenzia delle Entrate chiedendo il rigetto dei ricorsi. La CTP di Milano, con sentenza 392/16, depositata in data 18.01.2016, accoglieva i ricorsi riuniti compensando le spese.

L’Ufficio appellava eccependo erronea ricostruzione dei fatti, acritico rinvio ad altra sentenza ed, insistendo sulla esistenza in Italia dell’effettivo domicilio fiscale delle contribuenti, chiedeva la riforma della sentenza, con vittoria di spese. Le sorelle si costituivano in giudizio sostenendo la correttezza della sentenza impugnata dall’Ufficio fondata sulla considerazione della particolare situazione familiare delle contribuenti, connessa allo stato detentivo della madre, per tutti i periodi di imposta oggetto degli accertamenti. Con riferimento ad ampia documentazione depositata già nel precedente grado del giudizio, chiedevano il rigetto dell’appello e la condanna dell’Ufficio alle spese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle Entrate fondava i propri accertamenti su numerosi ed incontestabili elementi che, pur non dimostrando l’esistenza di redditi prodotti dalle contribuenti, risultano presuntivi di capacità contributiva delle stesse. Pareva evidente che le sorelle non svolgano alcuna attività produttiva, vivendo invece di quanto ereditato dal padre, tuttavia non può negarsi l’evidenza di un imponente patrimonio che genera redditi in capo alle stesse. Il combinato disposto degli artt. 12 e 2bis del TUIR prevede che il presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche sia il possesso di redditi e che soggetti passivi dell’imposta siano le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato.

Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti.

Il presente contenzioso si fonda sull’identificazione del reale domicilio fiscale delle contribuenti.

Le risultanze delle indagini effettuate dall’Ufficio hanno rivelato l’esistenza di numerosi elementi convergenti che depongono a favore della permanenza delle due contribuenti nel territorio italiano per la maggior parte dell’anno in tutti i periodi a cui gli accertamenti si riferiscono.

Il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni, per non incorrere in vizi di legittimità della decisione (Cass. 13819/2003), si articola in due momenti valutativi e, cioè, occorre, prima, che il giudice esamini ognuno degli elementi indiziari per eliminare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece conserva quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; poi, occorre che egli proceda a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati e accerti se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una prova logicamente valida secondo crismi di ragionevole probabilità e non necessariamente di certezza (Cass. 4306/2010).

Procedendo secondo il predetto schema logico, questo Collegio osserva che, pur riconoscendo la fragilità della presunzione circa l’ammontare del reddito tassabile effettuata dall’Ufficio sulla base di operazioni che rappresentano un consumo di patrimonio, gli elementi fomiti dall’Ufficio rappresentano pesanti indizi sulla reale residenza italiana delle contribuenti, cioè sulla loro permanenza nel territorio italiano per un periodo, ogni anno, superiore a 183 giorni.

I giudici di prime cure, aderendo alla tesi difensiva delle ricorrenti, hanno evidenziato la particolare situazione familiare delle sorelle, connessa allo stato detentivo della madre, per tutti i periodi di imposta considerati, ma tale considerazione, importante sotto l’aspetto affettivo, sarebbe comunque inconferente sotto l’aspetto fiscale ai fini della valutazione della permanenza effettiva in Italia delle due contribuenti per la maggior parte dell’anno.

Permanenza che, peraltro tenuto del tempo da trascorrere con la loro madre in occasione, dapprima, della custodia cautelare e della celebrazione del processo e, successivamente, dei colloqui in carcere e dei permessi premio settimanali della durata di dodici o ventiquattro ore concessi alla madre, rapportati ai giorni di permanenza a Milano delle figlie in ciascuna delle citate occasioni, già depongono per un soggiorno prolungato sul territorio italiano, soggiorno che se non supera la metà dell’anno, certamente ci si avvicina molto.

Al periodo trascorso in Italia per incontrare la madre, devono aggiungersi poi i periodi documentalmente rilevati dall’Agenzia delle Entrate per prendere parte attivamente, in Italia, ad assemblee o riunioni del Consiglio di amministrazione di società italiane direttamente o indirettamente partecipate, quelli per la frequentazione di circoli nautici ai quali le sorelle risultavano iscritte, quelli per la frequentazione, nel caso della sorella minore, di corsi universitari, quelli necessari alla gestione dei numerosi rapporti di natura finanziaria con istituti di credito italiani, deducibili dalla movimentazione delle carte di credito, del deposito titoli e cassette di sicurezza, dei conti correnti il cui utilizzo continuativo e circoscritto non è in discussione, ed, infine, tutti quelli, rilevabili dalle notizie di stampa, riguardanti la loro partecipazione ad eventi mondani e sociali nel territorio nazionale, l’ospitalità presso amici ricevuta in occasione delle loro trasferte milanesi.

Gli stessi movimenti di capitale e bonifici esteri di importi rilevanti, accreditati su istituti di credito italiani, danno la misura dell’entità del periodo trascorso nel territorio nazionale, misura che, se non può definirsi costante, deve certamente ritenersi prevalente.

Non dimenticando che la giurisprudenza civilistica ha considerato come domicilio quel luogo in cui il soggetto mantiene il centro dei propri interessi intesi non solo sotto il profilo economico e patrimoniale, ma anche morale, sociale e familiare, non può sfuggire l’ulteriore elemento integrante la presunzione di residenza effettiva in Italia nel periodo 2004/2010, consistente nell’esistenza, dapprima, di stringenti legami affettivi con la nonna e della reclusione della madre, e, successivamente, nello sviluppo dei rapporti affettivi che hanno portato entrambe le sorelle a sposarsi con soggetti residenti in Italia fino al loro trasferimento all’estero, avvenuto dopo il matrimonio.

E’ ben vero che i matrimoni sono stati contratti in un periodo d’imposta successivo agli anni accertati, ma la presunzione di residenza in Italia delle contribuenti anche negli anni precedenti è data dal mutamento di residenza dei rispettivi coniugi solo in periodo successivo al loro matrimonio, avvalorando cosi l’ipotesi di una frequentazione prematrimoniale dei soggetti prevalentemente nel territorio italiano.

Peraltro, pur non riconoscendo come prova della residenza delle contribuenti nel territorio italiano l’esistenza di un immobile a Milano in cui era sempre presente un custode per mantenerlo in perfetto stato d’uso, con i conseguenti consumi e spese; pur non attribuendo valore di prova del medesimo assunto la permanenza delle nipoti presso l’immobile della nonna, l’intero compendio logico e circostanziale offerto dall’Agenzia delle Entrate a sostegno dell’esistenza in Italia del domicilio fiscale delle contribuenti, elementi tutti convergenti e concordanti tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli presunti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità (Cass. 5220/2005), portano il Collegio a ritenere che la presenza in Italia delle sorelle non fosse saltuaria ed unicamente collegata alla sola durata del tempo necessario alla volontà di incontrare la madre in concomitanza con i suoi permessi premio o le altre occasioni di libertà della medesima, ma fosse certamente preponderante tanto da superare ampiamente il limite dei 183 giorni all’anno.

Per le due contribuenti, cittadine italiane cancellate dalle anagrafi della popolazione residente e trasferite in Stato o territorio avente un regime fiscale privilegiato, l’individuazione del domicilio fiscale deve basarsi sull’effettivo centro degli affari e degli interessi, non solo economici, ma anche morali e familiari, desumibile, nel caso in esame, dal fattore dirimente della reale permanenza del soggetto nel territorio nazionale, cioè sulla residenza intesa come dimora abituale ai sensi dell’art. 43, secondo comma, del codice civile, dimora che si stima essere avvenuta principalmente in Italia, pur nella disponibilità permanente dell’abitazione i città estera, luogo di elezione della residenza anagrafica.

Quanto alla violazione del termine decadenziale previsto dall’art. 43 DPR 600/73 per l’attività accertativa relativa agli anni 2004, e 2005, si sottolinea che il comma 3 del medesimo articolo, prevede il raddoppio dei termini in ogni caso di violazione che comporti l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale e, nella fattispecie, non vi è dubbio che tale adempimento fosse obbligatorio, rilevato che la violazione consistente nella mancata dichiarazione dei redditi costituiva reato ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Sulla eccezione di irretroattività della presunzione di cui all’art. 12 della L. 78/2009, si osserva che il comma 2 di detto articolo prevede che, in deroga ad ogni altra disposizione di legge vigente, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, in violazione degli obblighi di dichiarazione, si presumono costituite, ai fini fiscali e salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. Tale norma, avendo carattere sostanziale e non procedimentale, non può applicarsi ai periodi di imposta già decorsi alla data della sua entrata in vigore e, dunque, la presunzione di attività ed investimenti costruiti mediante redditi sottratti a tassazione non è legittima, ma si deve rilevare come, nel caso in esame, il termine di decadenza per la notifica degli accertamenti per gli anni antecedenti al 2009 non era ancora scaduto alla data di entrata in vigore della norma. In ogni caso, l’obbligatorietà della denuncia di redditi posseduti sia in Italia che all’estero da cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata era prevista anche negli anni precedenti al 2009 e gli accertamenti consistono appunto nella comminazione di sanzioni per la mancata dichiarazione. L’eccezione deve pertanto essere respinta.

Sulla determinazione del reddito attribuito alle contribuenti e sulla presunta violazione dell’art. 53 della Costituzione per errata determinazione della capacità contributiva, l’Ufficio produce elementi concreti ed effettivi che non sono stati efficacemente contrastati da parte privata in sede istruttoria. Con degli inviti a comparire, l’Ufficio richiedeva tutta la documentazione riguardante le operazioni annotate sui conti correnti bancari rientranti nella disponibilità delle contribuenti, nonché la documentazione afferente le disponibilità e le attività finanziarie detenute all’estero.

Nessuna documentazione e/o giustificazione essendo stata prodotta, l’Ufficio era legittimato a prendere in considerazione, per tutti gli anni d’imposta, gli importi bonificati sui c/c, intestati alle sorelle, gli importi bonificati dai c/c esteri, le disponibilità sui c/c, di pertinenza delle sorelle, ovvero ad esse comunque riconducibili. Pur non riconoscendo natura reddituale alle somme consistenti nel patrimonio ereditato, nessuna efficace prova contraria alla presunzione di natura reddituale è stata offerta da parte resistente.

Non poteva essere accolta l’eccezione gradata riguardante l’esimente di cui all’art. 6 del D.Lgs. 472/97, per incertezza di applicazione della norma, invocata dalla difesa di parte resistente, non apparendo rinvenibile alcuna obiettiva condizione di incertezza normativa nella disposizione prevista dagli articoli 12 e 2bis del DPR 22 dicembre 1986, n. 917. Sembra invece doversi accogliere l’eccezione ulteriormente gradata delle contribuenti volta alla applicazione del principio di continuazione previsto dall’art. 12 del D.Lgs. 472/1997, dovendosi riconoscere, nel caso in esame, il cumulo giuridico.

Recita infatti il comma 5 del citato articolo “Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentala dalla metà al triplo”.

In conclusione, il domicilio fiscale sarà individuato nel luogo dell’effettivo centro degli affari e degli interessi della persona fisica, non solo economici, ma anche morali e familiari, desumibile dal fattore dirimente della reale permanenza del soggetto nel territorio nazionale.