False partite IVA e relative imposte: i rapporti di lavoro da dipendente, mascherati da P. IVA (le false P. IVA), continuano ad essere molto diffusi, nonostante i recenti impegni da parte del legislatore per contrastarli (Riforma di lavoro Fornero e Jobs Act sulla presunzione di lavoro subordinato). Nel caso in cui sussistono i presupposti di un rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore può rivolgersi al Giudice, richiedendo la riqualifica del rapporto di lavoro autonomo (con P. IVA) in lavoro dipendente, a tempo indeterminato, sin dall’inizio della sua instaurazione, entro i termini di prescrizione quinquennale. Ma cosa succederà con le imposte (IVA, IRPEF, IRAP) pagate o da pagare risultanti dal rapporto di lavoro autonomo? Secondo storica sentenza della Commissione Tributaria di Viterbo sul punto – i “falsi” rapporti di lavoro autonomo sono da considerare “operazioni inesistenti” e quindi non comportano il pagamento delle relative tasse, né per il datore di lavoro la possibilità di portare l’IVA in detrazione.

FATTO

Con tre distinti ricorsi, un operaio edile si è opposto alla richiesta di pagamento dell’IRPEF, IRPEF addizionali 2008, IVA ed IRAP 2009, chiedendone l’annullamento, considerato che in realtà non è mai esistito alcun rapporto di lavoro autonomo sulla base del quale dette imposte sono state calcolate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Commissione Tributaria Provinciale di Viterbo, presieduta da Francesco Maria Fioretti, ha stabilito che “se un lavoratore dipendente chiede l’attribuzione di una partita iva, non per questo può essere considerato soggetto passivo di imposta. La fattura emessa a fronte del salario corrispostogli dal datore di lavoro riguarda certamente un’operazione inesistente, che non può comportare per il lavoratore il versamento del tributo e per il datore di lavoro la possibilità di portarsi in detrazione l’IVA, che apparentemente risulta dalla fattura, da lui corrisposta”.

Secondo la suddetta Commissione “Ci troviamo di fronte ad operazioni truffaldine sanzionabili ma non ad operazioni che ricadono nell’ambito dell’applicazione del tributo e che possono legittimare un accertamento al fine di fare emergere a carico del lavoratore una vicenda di evasione di imposta” … “L’accertamento fiscale nei suoi confronti non ha pertanto fondamento giuridico, mancando i presupposti impositivi richiesti per essere chiamati a rispondere del tributo IVA e pertanto essere annullato salve tutte le conseguenze riconducibili a dichiarazioni false del lavoratore poste in essere in una condizione di stato di necessità”.

La Commissione ha inoltre stabilito che L’Agenzia delle Entrate ha il potere-dovere di verificare se la denuncia di inizio di attività corrisponde effettivamente all’inizio di un’attività per cui ricorrono i presupposti per l’applicazione del tributo”.

Qualora, “venga presentata una dichiarazione di inizio attività falsa, perché non rispondente all’effettivo esercizio di un’attività rientrante nell’ambito dell’applicazione dell’imposta”, dall’attribuzione della Partita IVA “non possono derivare le conseguenze, favorevoli all’amministrazione o favorevoli al contribuente, riconducibili alla sussistenza di una delle qualità soggettive richieste e di una delle condizioni oggettive richieste per l’applicabilità ed il funzionamento del tributo”.

In sintesi, qualora si rileva la falsità della partita IVA e ci troviamo di fronte ad un rapporto di lavoro subordinato, il Giudice chiamato a decidere deve rilevare l’insussistenza del rapporto tributario  (l’insussistenza di qualsiasi obbligazione tributaria) derivante dal rapporto di lavoro autonomo.