LA PARTECIPAZIONE AD UNA SOCIETA’ DI PERSONE RISULTA GENERATRICE DI REDDITI D’IMPRESA E PERTANTO I SOCI SONO ASSOGGETTATI A CONTRIBUTI INPS. LA PARTECIPAZIONE AD UNA SOCIETA’ DI CAPITALI GENERA REDDITI D’IMPRESA O REDDITI DI CAPITALE? IL SOCIO DI CAPITALE PAGA CONTRIBUTI ALL’INPS?

La Sentenza n. 671/2019 della Corte di Appello di Milano, pubblicata in data 8.5.2019 (RG n. 1404/2018), è una della pochissime pronunce sul punto e chiarisce la corretta formazione della base contributiva, riformando integralmente la sentenza di primo grado (ottenuta dal team dello studio). Secondo la legge 233/1990, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono. La mera partecipazione quale socio di capitale (e non lavoratore) ad una società di capitali non può qualificarsi reddito di impresa e pertanto il relativo reddito non può entrare a far parte della base contributiva.

FATTO

La ricorrente in data 24.11.16 presentava all’INPS richiesta di pensione di vecchiaia. Detta richiesta veniva respinta per assenza del requisito contributivo minimo di 20 anni, in quanto la donna, iscritta alla gestione commercianti, non poteva vantare integrali accrediti contributivi per gli anni 1998, 2001, 2002, 2005, 2006 e 2007 per i quali risultava solo una copertura contributiva parziale. Precisamente, la ricorrente versava la contribuzione considerando nella base imponibile esclusivamente i redditi derivanti dalla partecipazione alla società immobiliare x, omettendo di inserire anche i redditi derivati dalla sua partecipazione nella società y srl.

Il Tribunale di Milano – Sezione Lavoro, richiamate la normativa in materia costituita dall’art. 3 bis DL 384/92 conv. in L. 438/92 e la sentenza della Corte Costituzionale 354/01, riteneva che per soci di srl iscritti alla gestione commercianti o artigiani la base imponibile è costituita anche dalla parte di reddito di impresa della srl corrispondente alla quota di partecipazione agli utili ancorchè non distribuiti ai soci e che, stante il mancato versamento integrale dei contributi per gli anni 1998, 2001, 2002, 2005, 2006 e 2007, inseriti i redditi di impresa derivanti dalla sua partecipazione agli utili in quanto socia di capitale, ne conseguiva una contrazione delle settimane coperte da contribuzione e accreditabili ai fini pensionistici per i predetti anni con il venir meno del diritto a conseguire la pensione richiesta.

La ricorrente, difesa dall’Avv. Francesco Musacchio (Click Avvocato), impugnava la suddetta sentenza n. 1274/18, ritenendo che il giudice di primo grado abbia dato un’errata interpretazione dell’art. 3 bis DL 384/92 conv. in L. 438/92 atteso che il concetto di “totalità dei redditi di impresa denunciati a fini Irpef” cui fa riferimento la norma citata deve essere riferito esclusivamente all’impresa commerciale o artigiana in relazione alla quale l’assicurato è iscritto nella relativa gestione non essendo necessariamente soggette a contribuzione ai fini previdenziali eventuali altre fonti di reddito da partecipazione.

Osservava inoltre la ricorrente che non pare possibile richiedere la contribuzione per i redditi di capitale di soggetti, come nel caso di specie, che svolgono tutt’altra attività per la quale sono iscritti ad altre gestioni INPS ovvero a un diverso ente pensionistico obbligatorio prevedendo il dettato normativo dell’art. 3 bis Dl cit. solo l’assoggettamento dei redditi di impresa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 671/2019, riteneva fondato l’appello e meritevole di accoglimento. La questione controversa in esame è: se nella base imponibile sulla quale calcolare i contributi dovuti dall’iscritto alla gestione commercianti vadano o meno ricompresi i redditi percepiti quale mero socio di capitali. La Corte di Milano si è già espressa sulla questione di diritto in oggetto (cfr. 31/17, 1028/17, 209/18) e a essa il collegio de quo intendeva uniformarsi condividendone le considerazioni.

L’art. 3 bis della legge 14 novembre 1992, n. 438 ha statuito che “a decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art. 1 della legge 2 agosto 1990 n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”.

Per quanto riguarda la definizione del concetto di REDDITI DI IMPRESA occorre riferirsi al D.P.R. n.917/1986, il quale all’art. 6 co. 3, precisa che “i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi”.

Per i soci di società di persone opera il principio della trasparenza fiscale, in forza della quale i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione (cfr. art. 5 D.P.R. 917/1986); è quindi previsto che tali redditi, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi (art. 6 D.P.R. 917/1986).

L’articolo 44 dello stesso D.P.R. n. 917 del 1986 definisce poi i REDDITI DI CAPITALE e tra questi include alla lettera e) “gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società”.Risulta quindi che:

a) il testo unico delle imposte sui redditi distingue nettamente i redditi d’impresa dai redditi di capitale (…)

b) nei redditi d’impresa sono ricompresi solo i redditi che provengono dalla partecipazione alle società in nome collettivo e in accomandita semplice.

Tenuto conto di quanto allora risulta dalla normativa fiscale, cui rinvia espressamente l’art.3 bis D.L. 384/92, si deve concludere che gli utili percepiti dall’iscritto alla gestione autonoma che derivano dalla sua mera partecipazione quale socio di capitale (e non lavoratore) ad una società di capitali non possono entrare a far parte della base contributiva, non potendo qualificarsi quali redditi di impresa.

Nè tale principio è smentito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 354/2001 dalla quale si evince che sono da assoggettare a contribuzione i redditi di impresa e non di capitale.

Afferma invero la Corte: “Nell’ipotizzare, anzitutto, la discriminazione tra socio di società in accomandita semplice e socio di società di capitali, in vista dell’apporto al sistema contributivo della gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali previsto dalla disposizione denunciata per i redditi di impresa di cui sia titolare l’iscritto, il rimettente muove dal presupposto della “sostanziale identità di natura tra le due tipologie di redditi” e, quindi, di una identità di posizioni fra i relativi percettori, giacché in entrambi i casi non vi sarebbe “il concorso di alcuna attività lavorativa”, bensì la mera sottoscrizione di quote del capitale sociale. Giova rammentare che, secondo il D.P.R. n. 917 del 1986, cui la norma denunciata fa rinvio, mentre i redditi da capitale costituiscono gli utili che il socio consegue per effetto della partecipazione in società dotate di personalità giuridica (art. 41), soggette, a loro volta, all’imposta sul reddito dalle stesse conseguito, i redditi c.d. di impresa di cui fruisce il socio delle società in accomandita semplice (così come, del resto, il socio delle società in nome collettivo) sono i redditi delle stesse società, inclusi nella predetta categoria, come già visto, dall’art. 6 del medesimo D.P.R. n. 917 del 1986, e, al tempo stesso, da imputare “a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione”, proporzionalmente alla “quota di partecipazione agli utili”, in forza del precedente art. 5 (redditi prodotti in forma associata).

Ciò fa sì, appunto, che il reddito prodotto dalle società in accomandita semplice sia reddito proprio del socio, realizzandosi, in virtù del predetto art. 5, come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, sia pure agli specifici fini tributari, “l’immedesimazione” fra società partecipata e socio (ordinanza n. 53 del 2001). Così richiamato, sia pure in estrema sintesi, il quadro normativo in cui si collocano le situazioni poste a raffronto, non può reputarsi discriminatoria una disposizione quale quella denunciata, atteso il preminente rilievo che, nell’ambito delle società in accomandita semplice (e in quelle in nome collettivo), assume, a differenza delle società di capitali, l’elemento personale, in virtù di un collegamento inteso non come semplice apporto di ciascuno al capitale sociale, bensì quale legame tra più persone, in vista dello svolgimento di una attività produttiva riferibile nei risultati a tutti coloro che hanno posto in essere il vincolo sociale, ivi compreso il socio accomandante”.

Alla luce di quanto esposto pertanto ritiene il collegio che i redditi di capitale percepiti dal socio non lavoratore per effetto della sua mera partecipazione al capitale sociale della srl non debbano essere inclusi nella base imponibile contributiva.