LE RESPONSABILITÀ DEL PUBBLICO MINISTERO. LE RESPONSABILITÀ DISCIPLINARI DEL PUBBLICO MINISTERO PER RICHIESTE DI RINVIO A GIUDIZIO CARENTI DI PROBABILITÀ PROGNOSTICHE E L’ABUSO DEL RINVIO A GIUDIZIO.
«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».
L’articolo 112 della Costituzione della Repubblica Italiana sancisce tale dovere, il quale, secondo la disciplina codicistica, deve essere esercitato al termine dell’attività istruttoria condotta nelle indagini preliminari. In questo frangente, il pubblico ministero valuta i presupposti per avviare il processo nei confronti dell’indagato e, qualora «non sussistano i presupposti per l’archiviazione», esercita l’azione penale, formulando l’imputazione con la richiesta di rinvio a giudizio.
La richiesta di rinvio a giudizio è dunque il provvedimento attraverso cui il p.m. ottempera all’«obbligo» di cui all’art. 112 della Costituzione. L’attività di iniziativa del pubblico ministero non comporta però un’imposizione di accusare, ma un dovere di controllare che la legge sia osservata. L’azione penale si configura, secondo autorevole dottrina, come un’attività di discrezionalità tecnica che impone al p.m. di agire solo nei casi previsti dalla legge, evitando richieste di rinvio a giudizio azzardate.
Un importante profilo relativo all’attività di iniziativa del pubblico ministero riguarda poi il rischio che la richiesta di rinvio a giudizio possa essere formulata in maniera pretestuosa o negligente, con il conseguente sacrificio economico e morale per l’imputato chiamato all’udienza preliminare.
Il legislatore si dimostra sensibile alla tematica delle richieste di rinvio a giudizio abusive o negligenti: infatti, sono predisposti dei correttivi all’attività del pubblico ministero, il quale, nell’esercizio delle sue funzioni deve astenersi dal formulare richieste di rinvio a giudizio non corroborate da «elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio».
Per frenare le azioni penali abusive o negligenti, oltre al filtro del sindacato del giudice dell’udienza preliminare sulla richiesta di rinvio a giudizio nei casi previsti, la legge prevede la possibilità, in casi patologici, di configurare una responsabilità disciplinare del p.m. In generale, il d. lgs. 109/2006 tipizza gli illeciti disciplinari dei magistrati – e quindi non solo dei p.m.
– che non operino in conformità con i principi di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona nell’esercizio delle funzioni.
A tal punto è necessario valutare in che modo si possa configurare una responsabilità disciplinare del pubblico ministero nel caso in cui lo stesso formuli una richiesta di rinvio a giudizio carente di probabilità prognostiche, ovvero attui un abuso del rinvio a giudizio. La responsabilità disciplinare dei magistrati è prevista in primis dalla Costituzione, la quale si limita ad attribuire al Consiglio superiore della magistratura il potere di emettere provvedimenti disciplinari ed al Ministro della Giustizia il potere di promuovere l’azione disciplinare.
La tipizzazione degli illeciti disciplinari, il procedimento e le sanzioni irrogabili al magistrato sono invece contenute nel citato d. lgs. 109/2006. La circostanza in cui il p.m. formuli una richiesta di rinvio a giudizio abusiva o carente di probabilità prognostiche ben può rientrare nelle fattispecie di cui alle lettere a) e m) dell’art. 2, comma 1, del citato decreto. Le due fattispecie stabiliscono l’applicabilità delle sanzioni disciplinari rispettivamente per «comportamenti che, violando i doveri di cui all’articolo 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti» e per «l’emissione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali».
L’adozione di una richiesta di rinvio a giudizio abusiva o carente delle probabilità prognostiche provoca la lesione di un diritto dell’imputato, il quale, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, soffre il danno ingiusto derivante dall’inutile celebrazione dell’udienza preliminare e dal sostenimento dei relativi costi. Nel caso di specie è quindi integrato l’illecito di cui alla lettera a) dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 109/2006.
Inoltre, una richiesta di rinvio a giudizio abusiva o comunque carente delle probabilità prognostiche costituisce un provvedimento adottato in un caso non consentito, dove la legge prescrive, invece, la richiesta di archiviazione. Infatti, atteso che la richiesta di rinvio a giudizio deve essere corroborata da elementi probatori da cui si possa prevedere una sentenza di condanna, è chiaro che un provvedimento carente di probabilità prognostiche (o comunque abusivo) si pone in aperto contrasto con le prescrizioni legislative di cui agli artt. 411 e 129 c.p.p., le quali impongono l’immediata declaratoria delle evidenti ragioni di proscioglimento.
Ne consegue che la condotta del p.m. integra anche l’illecito disciplinare di cui alla lettera m) dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 109/200610. Accertata l’esistenza di una responsabilità disciplinare del p.m. in casi di carenza probatoria e abuso nella richiesta di rinvio a giudizio, preme comunque sottolineare che le fattispecie disciplinari applicate al caso di specie concernono situazioni in cui il magistrato realizzi comportamenti contrari a imparzialità, correttezza e diligenza. In altre parole, ci si riferisce a situazioni patologiche dell’attività del pubblico ministero, tali per cui l’attività d’ufficio leda i diritti delle parti del processo, nonché getti discredito sulla categoria dei magistrati. Sono appunto questi ultimi, ad avviso della suddetta giurisprudenza (Cass. civ. Sez. Unite, 19 luglio 2016, n. 14800), i beni giuridici protetti dal d.lgs. 109/2006.
È necessario, dunque, distinguere la richiesta di rinvio a giudizio corredata da elementi istruttori e seguita da una sentenza di non luogo a procedere dalla richiesta di rinvio a giudizio totalmente carente di elementi istruttori che giustifichino l’approdo all’udienza preliminare. Solo in questo secondo caso può configurarsi una condotta negligente (o scorretta) del p.m. meritevole di provvedimento disciplinare sanzionatorio.
Il d.lgs. introduce, inoltre, con l’art. 3 bis (inserito dalla l. 269/2006), il c.d. principio di non offensività. In virtù di tale disposizione, il giudice disciplinare può escludere la configurabilità della responsabilità qualora «il fatto sia di scarsa rilevanza». La valutazione della scarsa rilevanza va
condotta, secondo la giurisprudenza (Cass. civ. Sez. Unite, 31 maggio 2016, n. 11372), in relazione al concreto pregiudizio arrecato ai beni giuridici della reputazione dei magistrati e dell’interesse del diritto dell’imputato ad evitare costi e «pene morali» dell’udienza preliminare. Il p.m. che procede alla richiesta di rinvio a giudizio abusivamente o senza alcuna evidenza probatoria non può godere dell’esimente dell’art. 3 bis, in quanto la lesione dei beni giuridici tutelati dal d. lgs. 109/2006 è conclamata.
In definitiva, emerge che, in virtù delle responsabilità disciplinari ex d.lgs. 109/2006, il legislatore abbia voluto porre un freno a condotte negligenti o scorrette dei magistrati, e in particolare dei pubblici ministeri che tentino il rinvio a giudizio con finalità diverse da quelle previste dalla legge. Nella realtà, le ipotesi appena descritte possono verificarsi soprattutto nell’ambito di procedimenti di risonanza politica e mediatica molto ampia, dove il pubblico ministero potrebbe avere il desiderio di utilizzare i propri poteri al solo fine di accrescere la sua fama.
La disciplina degli illeciti dei magistrati rappresenta dunque anche un freno alla «politicizzazione» dei magistrati e alla loro tentazione verso il «narcisismo» mediatico.
Autore: Dott. Mario Castoldi.
(Studio Legale Kòsa Musacchio – Click Avvocato – Avvocato del contribuente)
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