Sentenza n. 9016/2016 della Suprema Corte – Presidente: Di Palma Salvatore – Relatore: Mercolino Guido – Data pubblicazione: 05/05/2016

Nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento del credito fiscale NON è configurabile un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, cioè non è necessario citare anche l’agente della riscossione. La chiamata in causa di quest’ultimo ha l’esclusivo ruolo a portare la pendenza della controversia a conoscenza del soggetto incaricato della riscossione, al fine di estendere anche allo stesso gli effetti del giudicato. La stessa regola viene applicata anche quando il giudizio viene promosso dal concessionario o nei confronti dello stesso, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che la domanda abbia ad oggetto l’esistenza del credito, anziché la regolarità o la validità degli atti esecutivi.

FATTO

L’Equitalia Marche S.p.a., agente della riscossione per le Marche, sportello di Ancona, proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento della … S.r.l., chiedendo l’ammissione al passivo di un credito di Euro 168.720,11 per contributi previdenziali inevasi, ritenuto prescritto dal Giudice delegato. Con decreto del 3 novembre 2009, il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda, confermando l’intervenuta prescrizione del credito.

A fronte delle chiare indicazioni cronologiche fornite dal curatore, l’opponente non aveva fornito una ricostruzione alternativa che escludesse la prescrizione. Il Tribunale ha ritenuto superfluo l’accertamento dell’eventuale imputabilità della stessa agli enti creditori, poiché, a seguito della proposizione della relativa eccezione, incombeva all’agente, in qualità di attore, l’onere di provare l’interruzione della prescrizione. Ha inoltre rilevato che l’opponente non aveva provveduto a compulsare gli enti creditori per ottenere gli atti interruttivi né a sollecitare l’ordine di esibizione o la richiesta d’informazioni alla Pubblica Amministrazione ed ha escluso che la predetta prova potesse essere fornita mediante la chiamata in causa degli enti creditori, osservando comunque che, in quanto finalizzato alla determinazione del passivo, il giudizio di opposizione non tollera appesantimenti,  quali quelli derivanti dalla chiamata in causa. Avverso predetto decreto l’Equitalia ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.

Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denunciava la violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. e dell’art. 39 del d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112, sostenendo che, nel rigettare l’istanza di autorizzazione della chiamata in causa, il decreto impugnato non ha tenuto conto della necessità della partecipazione al giudizio degli enti creditori, derivante dal provvedimento emesso dal Giudice delegato, che, nel ritenere prescritto il credito azionato, non aveva precisato se la prescrizione fosse maturata in epoca anteriore o successiva alla consegna del ruolo all’agente della riscossione.

Secondo il ricorrente l’autorizzazione della chiamata in causa non richiede alcun controllo preventivo di merito, trattandosi di una facoltà della parte che non può essere compressa dal giudice e nella specie la chiamata in causa risultava obbligatoria ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, in quanto il giudizio, avente ad oggetto questioni diverse da quelle riguardanti la regolarità degli atti esecutivi, spettava direttamente alla competenza degli enti creditori, con la conseguente possibilità di estromissione dell’agente.

Il motivo veniva dichiarato infondato. In tema di riscossione dei contributi previdenziali mediante iscrizione a ruolo, questa Corte ha infatti escluso costantemente che, nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento del credito, sia configurabile un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, attribuendo alla chiamata in causa di quest’ultimo (già prescritta dall’art. 24, comma quinto, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal decreto-legge 24 settembre 2002, n. 209, convertito con modificazioni dalla legge 22 novembre 2002, n. 265) il valore di una mera litis denuntiatio, volta esclusivamente a portare la pendenza della controversia a conoscenza del soggetto incaricato della riscossione, al fine di estendere anche allo stesso gli effetti del giudicato (cfr. Cass., Sez. lav., 11 novembre 2014, n. 23984; 12 maggio 2008, n. 11687; 16 maggio 2007, n. 11274).

Non diversamente, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario qualora, come nella specie, il giudizio sia promosso dal concessionario o nei confronti dello stesso, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che la domanda abbia ad oggetto l’esistenza del credito, anziché la regolarità o la validità degli atti esecutivi, dal momento che l’eventuale difetto del potere di agire o resistere in ordine all’accertamento del credito non determina la necessità di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto che ne risulti effettivamente titolare, ma comporta esclusivamente l’insorgenza di una questione di legittimazione, per la cui soluzione non è indispensabile la partecipazione al giudizio dell’ente creditore: la chiamata in causa di quest’ultimo dev’essere pertanto ricondotta all’art. 106 cod. proc. civ., con la conseguenza che l’autorizzazione della stessa costituisce oggetto di una valutazione discrezionale del giudice di primo grado, incensurabile in sede d’impugnazione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 4 dicembre 2014, n. 25676; Cass., Sez. I, 28 marzo 2014, n. 7406; Cass., Sez. Il, 19 gennaio 2006, n. 984).

2.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduceva l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ribadendo la necessità della chiamata in causa, ed affermando che, nell’escludere l’avvenuta interruzione della prescrizione, il decreto impugnato non ha tenuto conto della produzione in giudizio della copia di un’iscrizione ipotecaria effettuata il 20 gennaio 2004 e successivamente notificata alla debitrice.

Il motivo veniva ritenuto inammissibile. In ordine alla mancata autorizzazione della chiamata in causa, è infatti sufficiente il richiamo delle considerazioni appena svolte, alla stregua delle quali deve essere confermato che le censure sollevate dalla ricorrente non possono trovare ingresso in questa sede, trattandosi di un provvedimento che presuppone una valutazione discrezionale, e quindi insindacabile in appello ed in cassazione.

In riferimento all’omessa valutazione della nota d’iscrizione dell’ipoteca, quale atto idoneo a provocare l’interruzione della prescrizione, in quanto notificato al debitore, occorre invece rilevare che, indipendentemente dalla possibilità di ravvisare nella predetta notifica un’inequivoca manifestazione della volontà del concessionario di far valere il credito iscritto a ruolo, il cui apprezzamento è rimesso al giudice di merito, le censure proposte risultano prive di specificità, non essendo accompagnate dall’indicazione degli elementi necessari per la valutazione della decisività del documento invocato, e segnatamente dalla precisazione della data di maturazione dei crediti azionati con l’istanza d’insinuazione al passivo e da quella dell’avvenuta notifica della nota d’iscrizione, tardivamente riportate dalla difesa della ricorrente soltanto nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.