Sentenza n. 13133/2016 del 24.6.2016 della Suprema Corte di Cassazione – Presidente: Chindemi Domenico – Relatore: Stalla Giacomo Maria

Le donazioni indirette sono esenti da imposta se … Secondo l’art. 1 comma 4-bis d. lgs 346/1990, introdotto dall’art. 69 comma 1 della legge 342/2000, non sono soggette ad imposta di donazione, e pertanto risultano essere fiscalmente “neutre”, le donazioni indirette che siano collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari o il trasferimento di aziende che siano assoggettati all’imposta di registro in misura proporzionale oppure all’IVA. Mentre la sopracitata sentenza della Suprema Corte (seppur controversa) aggiunge che, il contribuente, per poter beneficiare dell’esenzione da imposta sulle donazioni indirette, è onerato a rendere espressa dichiarazione (che il denaro necessario proviene in tutto o in parte da atto di liberalità) nell’atto di trasferimento della proprietà dell’immobile, al fine di porre l’amministrazione finanziaria in condizione di poter immediatamente rilevare e verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di non imponibilità. La mancanza della suddetta dichiarazione nell’atto di compravendita rende la liberalità indiretta tassabile – ex art. 56 bis cit. – nulla rilevando la successiva dichiarazione a seguito di un accertamento intrapreso a loro carico.


FATTO

L’agenzia delle entrate proponeva un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 38/12/10 del 26 febbraio 2010, con la quale la commissione tributaria regionale di Milano, in accoglimento dell’appello proposto dai contribuenti, ha ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento notificati a questi ultimi per imposta di donazione. Ciò in relazione alla liberalità indiretta – dichiarata dai contribuenti con istanza di autotutela nel corso di accertamento sintetico ai fini IRPEF – effettuata a loro favore dai genitori mediante versamento in data 8 agosto 2001, su conto corrente cointestato, di un assegno circolare di 2.500.000.000 di lire.

In particolare, ha ritenuto la commissione tributaria regionale che la donazione in oggetto, ancorché realizzatasi sotto la vigenza dell’art. 56 bis del decreto legislativo 346/90, fosse sottoposta al maggior limite di franchigia di cui all’art. 2, co. 49, d.l. 262/06, convertito in I. 286/06, che ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e donazioni. I contribuenti resistevano con controricorso, formulando altresì due motivi di ricorso incidentale. Con istanza del 30 novembre 2012 l’agenzia delle entrate ha chiesto che venisse dichiarata l’estinzione parziale del giudizio per la cessata materia del contendere nei confronti di uno dei contribuenti, stante l’avvenuta definizione della lite per condono ex articolo 39, 12 co., d.l. 98/11, convertito in  L. 111/11.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1.

Con l’unico motivo di ricorso principale l’agenzia delle entrate lamentava – ex art.360, 1^ cc. n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 2, co. 49 D. l.  262/06 conv. in l. 286/06; 56 bis, co. 1 e 2, TU 346/90; 69, co. 15, I. 342/00; 11 prel.; 3, 1^ co., l. 212/00. Ciò perché la commissione tributaria regionale ha ritenuto non dovuta l’imposta in oggetto per mancato superamento della maggior franchigia pro capite (euro 1.000.000) di cui all’art. 2, co. 49, d.l. cit., nonostante che tale disciplina non potesse retroattivamente applicarsi alla donazione indiretta in questione, in quanto posta in essere nell’agosto 2001 e, dunque, ancora sotto la vigenza del TU 346/90 come modificato, sui punto, dall’articolo 69 co. 1 lett. p) della L. 342/2000, introduttivo dell’articolo 56 bis in materia di accertamento delle liberalità indirette (recante una franchigia di 350 milioni di lire, con aliquota del 7%).
II motivo veniva dichiarato fondato. La commissione tributaria regionale ha ritenuto nella specie applicabile, ratione temporis, la disciplina risultante dall’articolo 2 comma 47 d.l. 262/06, conv. in L. 286/06, con conseguente applicazione della maggior franchigia di cui al co. 49. Ciò in ragione del fatto che la disposizione che ha reintrodotto nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni (co. 47) ha richiamato il d. lgs. 346/90, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, “fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54“; stabilendo inoltre (co. 50) che, per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54, le disposizioni previste dal d. lgs. 346/90 cit. trovino applicazione solo “in quanto compatibili“. La ratio decidendi viene dalla commissione territoriale individuata nel seguente argomento: “poiché la novella del 2006 ripristina, modifica e sostituisce testo del decreto legislativo n. 346/90 che era vigente alla data del 24 ottobre 2001 (periodo cui si riferisce la controversia), il testo risultante dopo le modifiche e puntualizzazioni di cui ai commi 47 e 50 è applicabile anche alla donazione indiretta di cui è causa“; viene poi aggiunto che l’ultima parte del comma 47, facente salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54, “esclude espressamente il ripristino di disposizioni in contrasto con i commi da 48 a 54 dell’articolo 2, le quali previsioni sono state fatte salve, cioè prevalgono comunque su quelle contenute nel testo del d. lgs. 346/90 in vigore alla data del 24 ottobre 2001“, sicché l’inciso “in quanto compatibili” confermerebbe che “la reviviscenza o resurrezione della disciplina del d. lgs. 346/90 è subordinata alla sua compatibilità con le norme recate dallo stesso articolo 2, commi da 48 a 54, del decreto-legge 262/06“. All’esito di questo ragionamento, la commissione di merito ha dunque qui ritenuto la prevalenza dell’aliquota e della franchigia dei comma 49 dell’articolo 2 cit., rispetto all’aliquota ed alla franchigia di cui all’articolo 56 bis co. 2 d. lgs. 346/90, in vigore al 24 ottobre 2001.

Questo argomentare (altro sarebbe, ma la fattispecie è estranea al presente giudizio, il problema della perdurante applicabilità dell’articolo 56 bis in oggetto alle liberalità poste in essere successivamente al d.l. 262/06) non può essere condiviso, perché affetto da un errore di prospettiva. Va infatti considerato che le disposizioni prese in esame nella sentenza qui impugnata non riguardano le successioni e donazioni verificatesi prima della soppressione del d. lgs. 346/90 (25 ottobre 2001), ma solo quelle che si realizzano dopo la reintroduzione dell’imposta per effetto dello stesso d. l. 262/06. A queste ultime torna ad essere applicabile la disciplina-base dì cui al d. lgs. 346/90, fatti salvi i rinvii ai co. da 48 a 54, e fermo restando il generale vincolo di compatibilità di cui al co. 50 d.l. cit.. In altri termini, le disposizioni in esame non costituiscono un sistema normativo di natura transitoria o intertemporale, limitandosi a fissare la disciplina applicabile alle ‘nuove‘ successioni e donazioni; vale a dire, a quegli eventi imponibili verificatisi dopo la reintroduzione dell’imposta nell’ordinamento. Ad essi va applicata la disciplina fondamentale di cui al d. lgs. 346/90, ma con taluni adattamenti e temperamenti; tra i quali, appunto, la diversa aliquota e la maggior franchigia di esenzione sulle donazioni di cui al co. 49 dell’art.2 cit.. La circostanza che il ‘recupero‘ della disciplina generale di cui al d. lgs. 346/90 non sia integrale ed incondizionata, ma parziale, (cioè nei limiti di salvezza del disposto dei co. da 48 a 54 dell’art. 2, nonché del generale vincolo di compatibilità) non esclude in alcun modo che ciò riguardi esclusivamente le successioni e donazioni sopravvenute alla reintroduzione dell’imposta; la cui disciplina normativa è così apprestata dall’art. 2 con tecnica legislativa di richiamo e riattivazione di una disciplina previgente (in tal maniera riportata a nuova vita), ancorché modificata in taluni aspetti, dalla legge richiamante.

Il combinato disposto così risultante non riguarda però la donazione indiretta in questione la quale, essendosi pacificamente realizzata nell’agosto 2001, trova completa ed organica disciplina nel d. lgs. 346/90; la cui vigenza è venuta meno, per effetto della legge 383/101, soltanto nell’ottobre successivo. Ne deriva che il richiamo operato dalla commissione tributaria regionale, a sostegno della propria tesi, alle nozioni di ‘ripristino‘, ‘reviviscenza‘ o ‘resurrezione‘ non si attagliano al caso; perché riferibili ad una disciplina normativa destinata ad intervenire esclusivamente per le donazioni successive, non anche per quelle pregresse che trovano ed esauriscono la propria regolamentazione nel d. lgs. 346/90. Disciplina, quest’ultima, che deve essere applicata nel caso di specie, ratione temporis, non in quanto richiamata o ‘recuperata‘ dall’art. 2 co. 47 di. cit., ma in quanto applicabile in via diretta – e per regola generale – “alle successioni aperte ed alle donazioni fatte a partire dalla data di entrata in vigore” del TU (art. 63 d. lgs. 346/90), e prima della sua soppressione.

Ciò a maggior ragione considerando che il TU in oggetto recava una disciplina specifica per le liberalità indirette quale quella qui dedotta, in forza dell’introduzione dell’articolo 56 bis da parte della legge 342/2000; dichiarato espressamente applicabile da quest’ultima (art. 60 co,15) “(..) alle donazioni fatte a decorrere dal 1 gennaio 2001“). Diversamente sarebbe se il legislatore – nell’ambito della propria discrezionalità – avesse attribuito efficacia retroattiva alla disciplina risultante dal d. lgs. 346/90 come modificato dall’art. 2 decreto-legge 262/06; ma tale eventualità non trova alcun appiglio normativo (né quest’ultimo è stato indicato dalla commissione territoriale), così da doversi concludere che – anche in forza del principio di irretroattività della legge in generale, e di quella tributarla in particolare – essa non operi che per l’avvenire. In Materia non sono d’altra parte mancate pronunce giurisprudenziali di legittimità che hanno rimarcato il discrimine temporale di applicazione del d. lgs. 345/90, in ragione della risalenza della successione o della donazione ad epoca precedente o successiva all’entrata in vigore della legge soppressiva n.383/01.

Ricorre, in proposito, quanto stabilito da Cass. 21803/11, la quale – da un lato – ha ritenuto manifestamente infondata, ex artt. 3 e 53 Cost ila questione di legittimità costituzionale del regime di consecuzione normativa così stabilito; affermando -dall’altro – che la normativa applicabile deve essere individuata con esclusivo riguardo, appunto, alla data di apertura della successione o di esecuzione della donazione, essendo a tal fine irrilevante che l’accertamento o la liquidazione del tributo da parte dell’amministrazione finanziaria intervengano in un momento successivo a tale data.

Gli argomenti di segno contrario addotti dai controricorrenti non appaiono decisivi. In primo luogo, il fatto che l’articolo 56 bis cit. presupponga (salva l’ipotesi di registrazione volontaria dell’atto: 3^ ce.) la dichiarazione della liberalità nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, attiene ad un presupposto dell’accertamento dell’imposta sulla liberalità, non già all’individuazione del momento di insorgenza del fatto imponibile (sempre riconducibile all’esecuzione della liberalità in quanto tale, e non alla sua ‘confessione’ da parte del contribuente raggiunto da accertamenti per tributi diversi); risultando pertanto indifferente ai fini qui in esame, mirati sul differente aspetto della individuazione della disciplina applicabile. Ciò dà ragione della non configurabilità, diversamente da quanto sostenuto dai contribuenti, di una fattispecie impositiva ‘a formazione progressiva‘. Tesi ricostruttiva, quest’ultima, che finisce con l’indebitamente sovrapporre il momento del verificarsi del presupposto imponibile (realizzazione della liberalità) qui individuato al fine di
stabilire la disciplina applicabile, con quello nel quale l’amministrazione è posta in condizione di effettuare l’accertamento (emersione tramite dichiarazione dell’interessato, ex art.56 bis lett. a) cit.) Ed è in proposito corretto che l’ufficio, proprio su tale presupposto, abbia qui accolto l’istanza di autotutela avanzata dai contribuenti escludendo la natura reddituale della rimessa proprio con specifico riguardo ai periodi di imposta (2000-2001) relativi al perfezionamento della liberalità, ed ai quali l’accertamento sintetico si riferiva.

In secondo luogo, la regola generale dell’applicabilità della norma più favorevole al contribuente attiene al campo delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie (art. 3 d. lvo 472/97) – nella determinazione di aliquote e franchigia – non già di materia sanzionatoria, ma puramente impositiva delle liberalità ‘diverse dalle donazioni’, ex art.56 bis cit.. i tanto più considerando che, nella specie, la dichiarazione della liberalità indiretta da parte dei contribuenti a seguito di accertamento sintetico a fini IRPEF ex art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, è valsa ad evitare che lo stesso incremento patrimoniale così rinveniente venisse loro imputato quale reddito non dichiarato. Ne consegue, in definitiva, la legittimità dell’applicazione alla liberalità indiretta in questione del regime impositivo di cui all’art. 56 bis d. lgs. 346/90.

2.

Con il primo motivo di ricorso incidentale viene dedotta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 60 d. lgs. 346/90 e 76 del DPR. n. 131/86, per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto nella specie inapplicabile il termine quinquennale dì decadenza richiamato da tale combinato disposto. Nel caso di specie, i cinque anni dalla data di registrazione della liberalità indiretta erano infatti spirati il 28 agosto 2006, a fronte di avvisi di accertamento notificati l’11 aprile 2007.

La dedotta violazione normativa non sussiste. Il rinvio dell’articolo 60 d. lgs. 346/90 alla disciplina della liquidazione e della riscossione propria del d.P.R. 131/86 va infatti contemperato con la peculiarità dell’atto in oggetto, costituito da una liberalità indiretta mediante versamento in conto corrente non assoggettato, come osservato dalla commissione tributaria regionale, a registrazione ai fini di cui all’art. 76 1^ co. d.P.R. 131/86. Rileva pertanto il già menzionato disposto di cui all’articolo 56 bis d. lgs. 346/90, secondo cui il presupposto dell’accertamento dell’imposta di donazione scaturisce, nella specie, dall’autodichiarazione della liberalità indiretta, così come resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi. Ne deriva la decorrenza del termine di decadenza da questa stessa dichiarazione, rivelativa della liberalità indiretta, posto che tale dichiarazione è intervenuta a seguito di accertamento sintetico ai fini IRPEF di cui agli avvisi di accertamento dell’ottobre 2006, deve essere esclusa l’eccepita decadenza quinquennale, stante la notificazione degli avvisi di accertamento qui opposti in data 11 aprile 2007.

3.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, co. 4 bis, d. lgs. 346/90, con la conseguenza che l’imposta di donazione non era applicabile alla liberalità indiretta dedotta in giudizio, perché pacificamente finalizzata all’acquisto da parte dei fratelli contribuenti di due unità immobiliari in Milano, come da atti di compravendita assoggettati all’imposta proporzionale di registro.

Il motivo veniva dichiarato infondato. In base alla norma in oggetto, “ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto“.

Il giudice di merito ha escluso la giuridica rilevanza, nella specie, del collegamento costituente presupposto della non imponibilità, non già per la mancata prova della effettiva destinazione del denaro oggetto di liberalità all’acquisto dei due immobili, bensì per la mancata dichiarazione di tale collegamento negli atti di compravendita. Questi ultimi, tassati con imposta proporzionale di registro, non recavano infatti alcuna menzione della circostanza che il denaro necessario provenisse in tutto o in parte da atto di liberalità, né risultava che agli atti di compravendita (negozi-fine) avessero partecipato i donanti. In assenza di enunciazione, risultava dunque che si trattasse di compravendite poste in essere con provvista propria degli acquirenti e, come tali, non ‘collegate‘ a preordinati atti di liberalità (negozi od operazioni-mezzo).

La decisione della commissione territoriale appare corretta posto che, per regola generale (Cass. ord. n. 2777/16), l’esenzione dal tributo (e, più in generale, la fruizione del beneficio fiscale) presuppone l’esplicito esercizio del diritto corrispondente da parte del contribuente il quale, a tal fine, è conseguentemente onerato dal farne espressa dichiarazione in atto, ciò allo scopo di certa e tempestiva individuazione degli elementi fondamentali e costitutivi del rapporto tributario, oltre che di porre l’amministrazione finanziaria in condizione di immediatamente rilevare e verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di non imponibilità.

La mancata dichiarazione negli atti di compravendita, in definitiva, esula dalla sfera di applicazione della disposizione in oggetto, rendendo la liberalità indiretta tassabile – ex art. 56 bis cit. – in quanto dichiarata dai beneficiari, in via dei tutto contingente e casuale, soltanto nel corso di un diverso accertamento intrapreso a loro carico. Ne segue – per quanto concerne la posizione del contribuente – il rigetto del ricorso incidentale, con accoglimento di quello principale dell’agenzia delle entrate, e cassazione della sentenza impugnata.

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