INDEBITA COMPENSAZIONE – LA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI CATANIA HA CHIUSO LE INDAGINI IN RELAZIONE A 30 INDAGATI PER IL REATO DI INDEBITA COMPENSAZIONE – I QUALI, SECONDO I CAPI D’IMPUTAZIONE, IDEAVANO E COMMERCIALIZZAVANO MODELLI DI EVASIONE FISCALE:

Indebita compensazione: secondo l’art. 10 quater c. 2 del D. Lgs. n. 74/2000: “È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”.


CONCLUSIONE DELLE INDAGINI:
  • 30 indagati a Catania per il reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. c.p.; 10 quater co. 2 e 13 bis co. 3 D. Lgs. n. 74/2000 (indebita compensazione), perché ideavano e commercializzavano modelli di evasione fiscale, in base ai quali crediti IVA inesistenti venivano compensati, a seguito di accollo fiscale, con debiti tributari reali, consentendo così l’apparente regolarizzazione delle relative posizioni fiscali;
  • Il reato risulta aggravato in relazione ad alcuni imputati, in quanto avrebbero commesso il fatto nell’esercizio di attività professionale di consulenza fiscale (con elaborazione di modelli di evasione fiscale);
  • Il fatto è avvenuto a Catania, luogo in cui sono stati inviati al Fisco i relativi F 24;
  • Alcuni dei 30 soggetti sono stati indagati anche per il reato di cui all’art. 416 commi 1, 2 e 5 c.p. (associazione per delinquere), in quanto i professionisti che certificavano l’esistenza di crediti inesistenti apponendo i visti ex art. 35, commi 1 e 3 del D. Lgs. n. 241/97 e art. 3 comma 3, lett. A) del DPR n. 322/98, si associavano tra loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati in materia tributaria, societaria e contro la fede pubblica.

IL CASO CONCRETO:

Veniva coinvolto nella vicenda anche un commercialista milanese, difeso dall’Avv. Francesco Musacchio (Studio Legale Kòsa MusacchioClick Avvocato). Nei confronti del commercialista veniva immediatamente disposta la misura cautelare personale degli arresti domiciliare ed il sequestro di tutti i beni (in particolare dell’immobile ed abitazione di proprietà).

Il commercialista denunciava da tempo di aversi avvalso di un collaboratore in relazione all’attività di certificazione, in quanto non aveva la giusta dimestichezza con gli strumenti informatici necessari. A tal fine consegnava al detto collaboratore le credenziali ed il PIN di accesso alla piattaforma.

Successivamente alla definizione del rapporto collaborativo, il commercialista indagato, a seguito di alcune segnalazione da parte di aziende clienti, aveva ben immaginato che il collaboratore avesse utilizzato senza autorizzazione il PIN di cui era ancora in possesso. Per tale ragione, ha sporto denuncia presso la Procura della Repubblica. Con il passare di un paio di anni, infatti, si è visto indagato anche personalmente per il reato di indebita compensazione aggravata e applicate le suddette misure cautelare.

Ad istanza del difensore, il quale ha debitamente provato gli effettivi rapporti economici e le concrete consulenze svolte dall’indagato a favore delle aziende ed amministratori coinvolti, nonché la circostanza secondo cui il  PIN del commercialista risultava abusivamente utilizzato da altri soggetti e sopratutto che non vi risultavano esigenze cautelari (considerato che il PIN è stato bloccato a richiesta della Procura), in data 28.7.2020, il GIP revocava la misura cautelare degli arresti domiciliari e disponeva l’immediata liberazione dell’indagato.

CONCLUSIONE:

A prescindere dalla posizione particolare del citato commercialista, non vi sono dubbi che il suddetto fenomeno evasivo sia piuttosto diffuso, nonostante il rigoroso sistema sanzionatorio in vigore. 

Le indagini, come detto, risultano concluse, gli imputati verranno indubbiamente rinviati a giudizio ed il Tribunale di Catania avrà modo di valutare il caso.

Articoli correlati: I REATI TRIBUTARI (DESCRIZIONE E PENE)