ACCERTAMENTO FISCALE. SUSSISTE ATTIVITÀ DI IMPRESA SOLO IN CASO DI ATTIVITÀ ABITUALE IN RELAZIONE AL PERIODO D’IMPOSTA.

Ordinanza n. 20065/2022, depositata in data 21.6.2022 della Corte di Cassazione (Presidente: Giuseppe Fuochi Tonarelli, Relatore: Filippo D’Aquino).

Accertamento fiscale. Requisiti della sussistenza di una attività d’impresa. Sussiste un’attività d’impresa nel caso in cui la relativa attività svolta risulti abituale, intesa come stabile nel tempo con riguardo al periodo di imposta. Ne consegue che non possono assumere rilievo, ai fini della tassazione del reddito di impresa, le cessioni di beni che non siano caratterizzate dall’abitualità e dalla professionalità, gli atti isolati ed occasionali di produzione o di commercio non possono considerarsi quindi reddito d’impresa.


FATTO

Il contribuente ha impugnato un avviso di accertamento, con il quale veniva accertato un reddito di impresa ai fini IRPEF di € 690.690,00, con recupero di IRPEF, IRAP e IVA, oltre sanzioni, in relazione alla compravendita di otto unità immobiliari. Il contribuente ha dedotto di non svolgere attività di impresa.

La CTP di Pistoia ha ridotto nel quantum l’importo accertato, detraendo alcuni dei costi indicati dal contribuente. La CTR della Toscana, con sentenza in data 18 marzo 2016, ha rigettato l’appello del contribuente e l’appello incidentale dell’Ufficio. Per quanto qui rileva, il giudice di appello ha ritenuto che le operazioni di compravendita in relazione alle quali il giudice di primo grado aveva ritenuto di confermare l’avviso impugnato, non si collocano nel ciclo economico di un privato, in quanto l’acquisto degli immobili e la loro vendita a terzi ne escludono l’utilizzo ai fini personali. Ha, poi, ritenuto non provata la circostanza che l’immobile acquistato nel 2006 fosse stato adibito a studio e ufficio professionale del contribuente e del coniuge. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione.

Il ricorrente riteneva, sotto un primo profilo, censurabile l’accertamento dello svolgimento di attività di impresa in relazione alle compravendite immobiliari, posto che l’acquisto di immobili non può determinare di per sé l’esercizio di una attività di impresa, atteso che non vi sarebbe prova dell’abitualità nello svolgimento dell’attività di compravendita e dello svolgimento dell’attività nel corso del tempo; osserva che – quanto agli immobili oggetto dell’accertamento – si tratterebbe di due immobili acquistati
nell’arco di vent’anni e osserva come la decisione di vendere tali immobili fosse da ascrivere a motivazioni diverse dallo svolgimento dell’attività di impresa. Deduce, inoltre, il ricorrente la rilevanza della circostanza secondo cui l’accertamento avrebbe riguardato il solo esercizio 2008, il che inciderebbe sulla durata dell’attività di impresa accertata dall’Ufficio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Suprema Corte, come correttamente evidenziato dal contribuente in memoria, riteneva «erronea l’applicazione delle presunzioni alla fattispecie dedotta e sussistente la violazione e falsa applicazione delle norme tributarie di riferimento». Secondo la giurisprudenza della Corte, ai fini della nozione di esercizio di imprese commerciali, l’art. 51 TUIR richiede lo svolgimento «per professione abituale ancorché non esclusiva» delle attività indicate dall’art. 2195 cod. civ., ancorché non organizzate in forma di impresa, connotate per caratteristiche di stabilità e ripetitività, anche solo tendenziale e prospettica nel tempo, potendo essere svolte pure in modo non esclusivo e, quindi, contemporaneamente ad altre attività, dandosi luogo, in questo caso, a due distinti redditi.

“Laddove si tratti di un contribuente persona fisica ovvero di ente diverso da società commerciale, l’indagine sulla professionalità, nel senso suddetto, va effettuata ex ante in connessione a un insieme di fattori da valutare in relazione alla specifica tipologia di attività ed in base all’id quod plerumque accidit, tra cui la predisposizione dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività (Cass., Sez. V, 15 luglio 2020, n. 15021).

A differenza dell’impresa civilistica, l’attività di impresa ai fini tributari prescinde dal requisito organizzativo e richiede lo svolgimento in maniera professionale – e quindi abituale – ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 cod. civ., anche se non organizzate in forma di impresa (Cass., Sez. V, 9 giugno 2021, n. 16139; Cass., Sez. V, Cass., Sez. VI, 6 aprile 2017, n. 8982; Cass., Sez. V, 7 novembre 2012, n. 19237, precedenti correttamente richiamati dal ricorrente in memoria)“.

Secondo la Cassazione quindi “Ciò che rileva ai fini dell’accertamento della sussistenza di una attività di impresa è che – come per l’impresa civilistica – sussista il requisito della abitualità, che va intesa come attività stabile nel tempo, con riguardo al periodo temporale rilevante ai fini dell’imposizione sui redditi e, quindi, al periodo di imposta (Cass., Sez. V, 12 dicembre 2019, n. 32590). Ne consegue che non possono assumere rilievo – ai fini della tassazione del reddito di impresa – le cessioni di beni che non siano caratterizzate dall’abitualità e dalla professionalità, con esclusione degli atti isolati ed occasionali di
produzione o di commercio (Cass., V, 18 aprile 2018, n. 9461)

La CTR, pur avendo escluso l’utilizzo dei beni ai fini personali, non ha accertato l’abitualità dell’attività svolta, con particolare riferimento al periodo di imposta oggetto di accertamento (2008), non avendo accertato che l’attività di impresa (di fatto) svolta dal contribuente abbia avuto svolgimento stabile nel tempo. La Suprema Corte cassava la sentenza, con rinvio alla CTR, perché accerti lo stabile svolgimento nel corso del periodo di imposta 2008 dell’attività di impresa.

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