ESTEROVESTIZIONE DELLE SOCIETÀ. RESIDENZA FISCALE DELLE SOCIETÀ. ACCERTAMENTI FISCALI. QUANDO PUÒ RITENERSI UNA SOCIETÀ ESTEROVESTITA? COME EVITARE ACCERTAMENTI PER ESTEROVESTIZIONE?
Le società esterovestite (foreign dressed companies) sono società (o gruppi societari o altri enti) con formale sede legale, generalmente, in Stati a più basso livello di tassazione, ma di fatto ed effettivamente residenti in Italia al fine di evadere le imposte. Quindi in caso di esterovestizione siamo in presenza ad un fenomeno di evasione fiscale, in quanto secondo il cd. “word-wide principle”, le società residenti fiscalmente in Italia dovranno far tassare i propri redditi ovunque prodotti in Italia. Al fine di stabilire se una società con sede legale all’estero risulta esterovestita o meno è necessario, come detto, stabilire il luogo della sua effettiva residenza fiscale.
La libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi garantiscono la mobilità delle imprese e dei professionisti all’interno dell’UE, anche al fine di fruire di una legislazione fiscalmente più vantaggiosa e ciò di per sé non costituisce un abuso di tale libertà ossia esterovestizione.
ESTEROVESTIZIONE DELLE SOCIETÀ. MA QUANDO PUÒ RITENERSI UNA SOCIETÀ ESTEROVESTITA?
“Per esterovestizione s’intende la fittizia (artificiosa) localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale. Il legislatore ha indicato specificamente su quali presupposti si deve fondare l’accertamento della artificiosa creazione di un ente, rilevante ai fini della collocazione nello Stato della sede.
In particolare, nell’art. 73, comma 5bis, cit., si è previsto che: “Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa: a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Con specifico riferimento al primo presupposto (che è quello preso in considerazione dal giudice del gravame), il legislatore ha avuto cura di specificare che il controllo che a sua volta la società controllata deve esercitare deve trovare il suo riferimento nella previsione di cui all’art. 2359, primo comma, cod. civ.. Più precisamente, l’art. 2359, primo comma, cod. civ., prevede che: «Sono considerare società controllare:
1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa»”.
Nel caso in esame il giudice del gravame ha ritenuto di potere applicare la previsione di cui all’art. 73, comma 5bis, cit., ragionando sulla base delle diverse email che sono state inviate dall’amministratore unico della società controllata. La pronuncia censurata, pertanto, non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto applicabile la previsione in esame sulla base di circostanze fattuali non riconducibili al paradigma normativo di riferimento, conseguentemente la Cassazione annullava gli avvisi di accertamento.
FATTO
Agenzia delle entrate aveva notificato alla società X S.a. quattro avvisi di accertamento, in quanto, secondo l’Agenzia, la società avrebbe fittiziamente localizzato in Lussemburgo la propria sede ed aveva recuperato l’IVA non applicata alle fatture emesse nei confronti della propria società controllata Y S.p.A. ed una maggiore IRES non dichiarata relativamente alla quota parte di utili percepiti e distribuiti dalla controllata.
Avverso i suddetti atti impositivi la società aveva proposto ricorso che è stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Milano ed avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello che veniva accolto, ritenendo che sussistevano nella fattispecie i presupposti di cui all’art. 73, comma 5bis, TUIR, in quanto l’effettiva e sostanziale attività di direzione e controllo della società sarebbe stata svolta dall’amministratore della società controllata e quindi doveva ritenersi residente ai fini fiscali nel territorio italiano e soggetta al pagamento dell’IRES accertata; inoltre, attesa la mancanza di prova giustificativa dei servizi resi di cui alle fatture emesse, era legittima la pretesa concernente l’IVA, in quanto relativa ad operazioni inesistenti.
Avverso la suddetta pronuncia la società ha proposto ricorso per la cassazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Cassazione ha già avuto occasione di chiarire (Cass. civ., 21 dicembre 2018, n. 33234; Cass. civ., 7 febbraio 2013, n. 2869) che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
Quel che, dunque, deve essere accertato, ai fini della corretta applicazione della previsione normativa in esame, è la situazione di apparente costituzione di un soggetto localizzato all’estero.
In linea con la giurisprudenza unionale, è quindi necessario accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di un vantaggio fiscale: ciò perché quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C419/14, cit., punto 42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C-255/02, punto 73; Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonchè Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49).
Proprio con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.
L’obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio.
La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale.
Ne consegue che, una restrizione alla libertà di stabilimento, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.
In definitiva, quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma se si sia artificiosamente creata una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.
Sotto tale profilo, il legislatore ha indicato specificamente su quali presupposti si deve fondare l’accertamento della artificiosa creazione di un ente, rilevante ai fini della collocazione nello Stato della sede.
In particolare, nell’art. 73, comma 5bis, cit., si è previsto che:
“Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:
- sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
- sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.
In sostanza, il legislatore ha inteso limitare i presupposti di applicazione della previsione in esame alla circostanza che la società avente sede all’estero, oltre che detenere la partecipazione di controllo di altra società, sia a sua volta controllata, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, cod. civ., da soggetti residenti nel territorio dello Stato ovvero sia amministrata da un consiglio di amministrazione che sia composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Con specifico riferimento al primo presupposto (che è quello preso in considerazione dal giudice del gravame), il legislatore ha avuto cura di specificare che il controllo che a sua volta la società controllata deve esercitare deve trovare il suo riferimento nella previsione di cui all’art. 2359, primo comma, cod. civ..
Più precisamente, l’art. 2359, primo comma, cod. civ., prevede che:
«Sono considerare società controllate:
- le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
- le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
- le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa».
Sono questi, dunque, i parametri normativi cui deve necessariamente farsi riferimento al fine di potere ritenere sussistente quello specifico rapporto tra soggetti distinti che può radicare, eventualmente, l’applicazione della disciplina dell’esterovestizione di cui alla previsione contenuta nell’art. 73, comma 5bis, cit..
La pronuncia censurata, pertanto, non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto applicabile la previsione in esame sulla base di circostanze fattuali non riconducibili al paradigma normativo di riferimento. A seguito dell’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, invero, il giudice del rinvio dovrà accertare se possa essere configurata la soggettività passiva in Italia della ricorrente, ai sensi dell’art. 37, comma 3, cit., ed in quella sede, coerentemente, dovrà essere valutata l’applicabilità della previsione di cui all’art. 21, comma 7, cit..
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(Studio Legale Kòsa Musacchio – Click Avvocato – Avvocato del contribuente).
Salve avvocato, io sono cittadino italiano residente in Repubblica Dominicana, iscritto all’aire, ormai da 20 anni, sono socio di una compagnia in Italia, la domanda é dove pago le tasse degli utili che ricevo da codesta compagnia?!
Buonasera,
il soggetto residente o non residente nella Repubblica Dominicana viene tassato unicamente sui redditi prodotti nel territorio dello Stato Dominicano, come, ad esempio, quelli generati da attività economiche svolte nel Paese, da proprietà localizzate nel territorio o quelli provenienti da diritti economici qui utilizzati.
A questa regola generale fanno eccezione i redditi da investimento, che sono attratti a tassazione nazionale anche se di fonte estera.
Pertanto, sembrerebbe che i redditi di capitale generati all’estero (in Italia) non sono tassati nella Repubblica Dominicana.
La Repubblica Dominicana non rientra inoltre in nessuna delle liste dei Paesi a fiscalità privilegiata previste dalla legislazione italiana.
Non vi è prevista quindi nessuna presunzione di residenza fiscale in Italia.
In ogni caso, la dichiarazione dei redditi dei non residenti deve essere presentata ogni qual volta si percepiscano redditi prodotti in Italia, anche se la residenza fiscale del contribuente è all’estero e sono obbligati al versamento delle imposte allo Stato italiano.
Questo, salvo eventuali eccezioni previste dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e gli altri Stati.
Non risulta invece alcun convenzione e/o accordo sottoscritto tra l’Italia e la Repubblica Dominicana.
Per le ragioni di cui sopra Lei, per i redditi di capitale prodotti in Italia, deve presentare dichiarazione e versare le relative imposte in Italia.
Cordiali saluti.
Volevo ottenere una vostra consulenza riguardando il problema seguente:
– nel 2016 come belga avendo finito il lavoro sotto statuto diplomatico (da 2006) nel ONU sono traslocato alla mia famiglia in Belgio (cambiando residenza che avevo da 2004 in Italia).
Pensavo che il trasloco e il ritorno in Belgio me servirebbe per non essere sottoposto ai fisco italiano in 2016, perché ho ricevuto qualche somme di pensione ONU e belga e non volevo difficoltà nella qualificazione di questi redditi.
Ma malgrado l’iscrizione in Belgio (normalmente comunicata al Italia), l’inscrizione anagrafe in Italia non è stata cambiata, allora per 2016 ho 2 certificati di residenza con ogni una residenza differente : una in Belgio, l’altra in Italia.
Questione: sono sottoposto a imposte italiane o no?
L’agenzia entrate dice si; io dico il contrario.
Se sono considerato come sottoposto, dovrò pagare una multa per non dichiarazione e ce il rischio di riqualificazione.
Grazie di informarmi sul costo della vostra consulenza che mi permetterà di prendere una decisione ben pesata: oppure accettare la domanda delle entrate, o mantenere la mia posizione ( e la questione allora cosa fare senza troppi costi di tribunale etc.)
Ho anché paura della mancanza di chiarezza e legal security, avendo letto il suo articolo eccellente su ” Italia Svizzera”.
Scusi per l’italiano con molti errori.
Buonasera,
innanzitutto ci scusiamo per il ritardo con cui Le scriviamo, ma è dovuto alle troppe richieste che non riusciamo purtroppo evadere in tempo.
1.
I trattati che istituiscono organizzazioni internazionali solitamente contengono norme relative al trattamento fiscale dei loro dipendenti, ma non per il trattamento dei redditi da pensione.
A questa conclusione è arrivata anche l’Agenzia delle Entrate, con l’unico documento di prassi sul tema, ovvero la Risoluzione n. 11/E/2000 in relazione ai redditi da pensione erogati dall’ONU nei confronti di soggetto residente in Italia.
Secondo l’Agenzia, quindi, mancando disposizioni di esenzione, tali redditi da pensione sono imponibili in Italia ed assoggettati a tassazione IRPEF.
2.
La Sua residenza fiscale deve essere stabilita secondo l’art. 4 della Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Belgio:
https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/BELGIO_1983-1PROT.1984-Testo_G.U._ita.pdf
Non ho ben compreso il momento esatto in cui Lei nel 2016 si è trasferito in Belgio, è importante al fine di stabilire la Sua residenza fiscale per il 2016.
Non ha molta rilevanza la Sua residenza anagrafica, che prevede semplicemente una presunzione di residenza fiscale in Italia, che può essere benissimo vinta con la prova contraria.
Se Lei, secondo l’art. 4 della Convenzione, era residente fiscalmente in Belgio, l’art. 18 della citata Convenzione sulle pensioni private prevede la tassazione esclusivamente in Belgio.
Cordiali saluti.
Buongiorno, sono cittadina Italiana, non iscritta all’AIRE, e avrei bisogno di una consulenza su doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito. In breve: Da Dicemebre 2020 a Dicembre 2021 ho lavorato in Inghilterra con un contratto dipendente presso l’Universita’ di Cambridge (assistente di ricerca). Durante l’intero periodo ho risieduto in Inghilterra (affitto ed utenze a mio nome). Possiedo un NI number e sono iscritta al sistema pensionistico inglese USS. Questi ultimi sono entrambi stati pagati direttamente dal mio datore di lavoro (trattenuti dallo stupendio). Cosi’ come le tasse sul mio stipendio che ho gia’ pagato all’agenzia delle entrate inglese (HMRC). Ho un conto in banca inglese sotto i 15000 euro, quindi se non sbaglio, non da dichiarare in Italia. Attualmente mi trovo in Italia (in attesa di iniziare un nuovo lavoro a ll’estero, disoccupata ma senza ricevere disoccupazione o reddito di cittadinanza) e non mi e’ chiaro se devo fare la dichiarazione dei redditi e pagare tasse sul mio stipendio inglese oppure no. Ho ricevuto dall’HMRC una “letter of confirmation of residence” (in allegato), la quale attesta che, al meglio della loro conoscenza, ho residenza fiscale in UK. Tuttavia, lo stesso documento dice: “You can use this to meet requirements or support claims under the domestic law of the foreign state or EU law. However, this cannot be used to claims under a double taxation agreement.” Non mi e’ percio’ chiaro se devo dichiarare il mio reddito inglese in Italia e soprattutto se devo pagare le tasse (la differenza tra quelle italiane e quelle che ho gia’ pagato in UK) anche in Italia. Il problema principale e’ che non riesco a capire se l’Italia mi riconosce residente fiscale in UK, o se inve essendo registrata all’anagrafe Italiana, sono ancora residente in Italia. Potreste aiutarmi? Grazie!
Buonasera,
Secondo l’Art. 20 – Insegnanti della Convenzione tra Italia e Inghilterra contro la doppia imposizione:
“1. Una persona fisica che soggiorna in uno degli Stati contraenti per un periodo non superiore a due anni allo scopo di insegnare o di effettuare ricerche presso una università, collegio o altro analogo
istituto di istruzione riconosciuto di detto Stato contraente e che è, o era immediatamente prima di tale soggiorno, un residente dell’altro Stato contraente, è esente da imposizione nel detto primo Stato contraente per le remunerazioni che riceve in dipendenza di tali attività di insegnamento o di ricerca per un periodo che non superi due anni dalla data in cui egli abbia soggiornato per la prima volta in detto Stato per tali scopi”.
https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/REGNO_UNITO_1988-Testo_G.U._ita.pdf
Secondo quanto da Lei esposto i Suoi redditi dovrebbero essere esenti da imposizione in UK e quindi da tassare in Italia.
Cordiali saluti.
Buongiorno,
sono cittadina italiana e brasiliana, con doppia residenza in Italia e Brasile, ho P.IVA in Italia e un’azienda in Brasile e di solito rimango circa 6 mesi in ogni paese durante l’anno.
La legge brasiliana non tassa i dividendi. Quindi, in i miei dividendi brasiliani non vengono legalmente tassate lì.
Succede che, qui in Italia, pago puntualmente tutti i compensi per le attività qui svolte.
Tuttavia, qui in Italia, i dividendi dei soci sono tassati.
Vorrei sapere se devo pagare una tassa sui dividendi ricevuti dalla mia società brasiliana? (società creata in Brasile, sede legale e fiscale in Brasile, dipendenti, amministratori e partner brasiliani al 100%, e pagatore di tasse in conformità con la legge brasiliana).
Dal mio punto di vista, considerando la mia doppia residenza, doppia cittadinanza e lo stesso periodo in cui rimango in entrambi i paesi, non ha senso che l’Italia mi tassa per i dividendi brasiliani, tuttavia, vorrei confermare queste informazioni e verificare la procedura che dovrei seguire di notificare opportunamente allo Stato italiano l’esistenza di tali dividendi brasiliani e di non pagare le imposte sugli stessi, per i motivi sopra esposti.
Ossia di non pagare le tasse dei dividendi brasiliani legalmente – evitando la doppia impostazione.
Cordiali saluti,
Marina.
Buongiorno,
prima di tutto è necessario stabilire dove si trova la Sua residenza fiscale (che prescinde dalla residenza anagrafica, elemento formale).
La Sua residenza fiscale deve essere determinata sulla base dell’art. 4 della Convenzione tra Italia e Brasile: https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/BRASILE_1978-Testo_G.U._ita.pdf
Una volta stabilita la Sua residenza fiscale, dovrà individuare, secondo l’art. 10 della Convenzione, lo Stato dove versare le imposte su dividendi.
Cordiali saluti.
Salve, ho doppia cittadinanza, Italiana e USA. Per ora ho residenza solo negli USA, sono iscritto AIRE, vorrei comperare un’immobile in Italia passarci il tempo che desidero e forse anche tornare in Italia per viverci da pensionato. E’ possibile avere ANCHE la doppia residenza? Le tasse continuerò a pagarle a gli USA? A che tipo di tasse, se alcune, potrò andare in contro vivendo in Italia? grazie e cordiali saluti
[…] Per approfondire (Convenzioni contro la doppia imposizione) si indicano i seguenti articoli: DOPPIA RESIDENZA ANAGRAFICA. DOVE SI PAGANO LE IMPOSTE?, RESIDENZA FISCALE ITALIA SVIZZERA, RESIDENZA FISCALE – L’ISCRIZIONE ALL’AIRE NON ESCLUDE LA RESIDENZA FISCALE IN ITALIA, ESTEROVESTIZIONE DELLE SOCIETÀ. COME EVITARE E COME DIFENDERSI IN CASO DI ACCERTAMENTO? […]