Evasione di imposte. Il contribuente ha l’obbligo di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una evasione di imposte. A tal fine deve conformarsi a standard di diligenza estremamente rigorosi, adottando tutte le misure che si possano richiedere a un accorto operatore commerciale. L’Agenzia delle Entrate deve semplicemente provare il mancato rispetto di questo standard di diligenza e quindi la «negligenza» del contribuente. Non vi è alcuna necessità di dimostrare una «complicità» del contribuente nella frode.

La prova della «negligenza» del contribuente può essere meramente indiziaria, purché il quadro indiziario venga valutato dal giudice del merito nel suo complesso. I singoli fatti noti devono essere, quindi, valutati sia analiticamente (dando un adeguato peso ponderale a ciascun elemento), sia sinteticamente nella loro globalità, valutando se la combinazione di tali elementi sia in grado di fornire una valida prova presuntiva.

Sentenza n. 22003/2022, depositata in data 12.7.2022, della Suprema Corte (Presidente: Ernestino Luigi Bruschetta, Cons. rel. Filippo D’Aquino).

FATTO

Evasione di imposte. La società contribuente ha impugnato un avviso di accertamento, con il quale veniva contestato alla società contribuente, ai fini del diniego della detrazione sull’IVA corrisposta a monte, la partecipazione fraudolenta a un disegno volto all’evasione di IVA tramite il ricorso a operazioni soggettivamente inesistenti, nonché una frode all’esportazione, commessa mediante emissione di false dichiarazioni di intento di cui la società contribuente si era avvalsa, al fine di usufruire indebitamente di sospensione di imposta a termini dell’art. 8, primo comma, lett. c) d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

La società contribuente impugnando il suddetto accertamento ha sostenuto la propria buona fede in relazione all’esercizio della detrazione e, quanto alle cessioni all’esportazione, il difetto di prova della conoscenza della falsità delle dichiarazioni di intento.

La CTP di Roma ha rigettato il ricorso. La CTR del Lazio, con sentenza in data 1° ottobre 2018, ha accolgo l’appello della società contribuente, ritenendo, quanto all’esercizio della detrazione, che l’Ufficio non avrebbe provato la consapevolezza del contribuente in modo incontrovertibile e che la società contribuente avesse, di contro, dato prova della diligenza impiegata, non risultando anomalie nella gestione e contabilizzazione delle operazioni ed essendo i pagamenti effettuati con mezzi tracciabili. Ha, poi, ritenuto che il contribuente debba limitarsi a verificare l’attestazione di esportatore abituale, non essendo chiamato ad effettuare alcuna indagine di merito sulla veridicità della relativa dichiarazione. Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Con il primo motivo Agenzia deduceva, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché dei principi indicati nella sentenza della Corte di Giustizia del 12 gennaio 2006, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto raggiunta la prova della buona fede del contribuente, sostenendo che la prova della consapevolezza della frode può essere affidata anche a mere presunzioni, tali da fornire un quadro indiziario pregnante, anziché richiedere una prova piena di carattere incontrovertibile.

2.

Con il secondo motivo Agenzia deduceva, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 54 d.P.R. n. 633/1973, degli art. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., nonché dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia del 12 gennaio 2006 (C- 354/03, C-355/03 e C-484/03) e del 6 luglio 2006 (C. 439/04 e C/440/04), sostenendo di avere posto a fondamento della illegittima detrazione dell’IVA a monte una serie di elementi in fatto, costituiti dal fatto che gli otto fornitori della contribuente fossero risultati soggetti privi di organizzazione («cartiere o soggetti buffer o missing trader»), sconosciuti al fisco per non aver presentato dichiarazioni né versato imposte, avendo operato in un orizzonte temporale di pochi anni, nonostante la movimentazione di ingenti quantità di acquisti; si era, poi, posto in rilievo il fatto che i fornitori avessero spesso praticato prezzi inferiori a quelli delle case produttrici e operato tramite prestanomi, circostanze trascurate dal giudice di appello, che non avrebbe proceduto a una valutazione globale degli indizi. Agenzia censurava inoltre la sentenza nella parte in cui ha chiesto una prova incontrovertibile anziché meramente indiziaria, nonché nella parte in cui la sentenza ha ritenuto sufficiente la regolarità della documentazione contabile e l’esecuzione delle operazioni.

3.

Con il terzo motivo Agenzia deduceva, in via gradata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, aventi ad oggetto le circostanze già menzionate al superiore motivo in relazione alle quali valutare l’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Ufficio.

4.

Con il quarto motivo Agenzia deduceva, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 8, lett. c) d.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nella parte in cui la CTR ha ritenuto che – in relazione alle fatture emesse dalla contribuente nei confronti di dieci società indicate come esportatori abituali e, quindi, in sospensione di imposta – la società contribuente non risponderebbe della falsità delle dichiarazioni di intenti commessa da terzi se non in caso di coinvolgimento nell’attività fraudolenta. Osservava Agenzia che l’utilizzo di una dichiarazione di intento falsa non esonera il contribuente dall’adozione di tutte le ragionevoli misure in proprio potere.

1. – 2.

Evasione di imposte. La Corte riteneva fondati i primi due motivi. In primo luogo ribadiva il principio – relativo alla valutazione dei fatti noti addotti dall’Ufficio (gli elementi indiziari) – secondo cui spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, i quali vanno valutati sia analiticamente (dando un adeguato peso ponderale a ciascun elemento), sia sinteticamente nella loro globalità, valutando se la combinazione di tali elementi sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 26802; Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 19353; Cass., Sez. V, 31 maggio 2019, n. 14980; Cass., Sez. VI, 23 giugno 2017, n. 15777; Cass., Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 5374; Cass., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 16719).

La valutazione degli indizi, pur operata singolarmente e analiticamente dal giudice del merito (in relazione al peso ponderale dell’elemento indiziario), deve, comunque, essere operata anche sinteticamente, in modo che i vari elementi addotti consentano al giudice del merito di cogliere e apprezzare il quadro complessivo (framework) che l’Amministrazione finanziaria ha inteso dare al coacervo degli stessi fatti indiziari, al fine di trarre la presunzione del fatto ignoto (consapevolezza di partecipare a una frode IVA). Il giudizio sintetico o complessivo degli elementi addotti si nutre, pertanto, della valutazione dei singoli indizi – ove rilevanti (gravi e precisi) e concordanti rispetto all’oggetto della prova – al fine di cogliere il quadro complessivo che fonda la prova logica del fatto ignoto (la consapevolezza del cessionario nell’aver preso parte a una frode IVA).

In secondo luogo, come rammentato dall’Agenzia, l’Ufficio non deve fornire una prova del tutto incontrovertibile del fatto costitutivo della consapevolezza del contribuente di avere preso parte a una frode IVA, potendo addurre prove meramente indiziarie (Cass., Sez. V, 11 dicembre 2020, n. 28246; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. VI, 28 febbraio 2019, n. 5873), purché il quadro indiziario venga valutato dal giudice del merito nel suo complesso.

Evasione di imposte. Con particolare riferimento all’oggetto della prova (il fatto ignoto) – ove l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti ai fini del disconoscimento della detrazione sull’IVA a monte da parte del contribuente, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta. Ciò comporta che incombe all’Ufficio dimostrare che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a tale onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta a evadere l’IVA, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. U., 12 settembre 2017, n. 21105).

Né può avere rilievo al riguardo la regolarità della contabilità, come anche l’effettività dell’esecuzione delle prestazioni e dei relativi pagamenti, posto che oggetto della prova dell’Ufficio (e della prova contraria del contribuente) è una frode commessa a monte della catena distributiva e non dal contribuente (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851).

GIURISPRUDENZA EUROUNITARIA

Evasione di imposte. I suddetti principi affermati dalla Suprema Corte sono, del resto, conformi al principio eurounitario, secondo cui l’evasione tributaria ai fini IVA si configura anche nel caso in cui un soggetto passivo avrebbe dovuto sapere di partecipare, tramite l’operazione di cui trattasi e, in particolare, con il proprio acquisto, a un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessione (Corte GUE, 18 maggio 2017, Litdana, C624/15, punto 33; Corte GUE, 18 dicembre 2014, N. 1272 .G. 6di 11 Est. F. Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti, C-131/13, C-163/13 e C-164/13, punti 49 e 50; Corte GUE, 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11, punti da 38 a 40; Corte GUE, 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C-273/11, punto 54; Corte GUE, 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C/142/11, punto 46; Corte GUE; 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C- 439/04 e C440/04, punti 45, 46, 56, richiamata dal ricorrente).

In questo caso la giurisprudenza eurounitaria ritiene che il contribuente debba conformarsi a standard di diligenza estremamente rigorosi, ritenendosi esigibile in capo al contribuente l’adozione di tutte le misure che si possano richiedere a un accorto operatore commerciale al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una evasione di imposte (Corte GUE, 17 dicembre 2020, n. Bakati Plus, C-656/19, punto 80; Corte GUE, 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, punto 33; Corte GUE, 28 marzo 2019, Vin, C-275/18, punto 33; Corte GUE, 8 novembre 2018, Cartrans Spedition, C-495/17, punto 41; Corte GUE, Litdana, cit., punto 34).

Ciò non significa che il contribuente così si trasforma, come dedotto dal controricorrente in memoria, in un «poliziotto del Fisco», in quanto deve solamente dimostrare di essersi comportato alla stregua di un diligente operatore commerciale che si è adoperato al fine di non essere coinvolto in una evasione di imposta consumata nella catena distributiva a monte. Non vi è alcuna necessità, pertanto, di accertare una «complicità» del contribuente nella frode (come deduce il controricorrente e come si ribadisce in memoria), ma semplicemente (in termini opposti a quanto deduce il controricorrente) accertare il mancato rispetto di questo standard di diligenza imposto a un accorto operatore commerciale e, pertanto, la sua «negligenza» (mem. cit.).

Evasione di imposte. La sentenza impugnata si è sottratta alla corretta applicazione dei suddetti principi, nelle parti in cui, come dedotto dall’Agenzia:

  1. non ha preso in esame il coacervo indiziario, sintomatico nel suo complesso a delineare un quadro complessivo (framework) dal quale trarre la presunzione del fatto ignoto della consapevolezza, quanto meno colposa, della società contribuente di far parte di una frode dell’IVA corrisposta a monte, tenuto conto del fatto che i fornitori erano carenti di struttura organizzativa, che la loro attività era circoscritta a un periodo limitato nel tempo e che tali soggetti hanno veicolato ingenti quantità di acquisti intracomunitari di prodotti elettronici a prezzi spesso inferiori a quelli di mercato;
  2. ha ritenuto di fare affidamento su elementi del tutto irrilevanti, quali la regolarità della documentazione contabile, l’effettuazione delle forniture e l’esecuzione dei pagamenti.
3. – 4.

Il quarto motivo (con assorbimento del terzo motivo, proposto dal ricorrente in via gradata) veniva ritenuto fondato. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, nelle cessioni all’esportazione in regime di sospensione d’imposta ex art. 8 d.P.R. n. 633/1972, se la dichiarazione d’intenti si riveli ideologicamente falsa, perché emessa da soggetto privo del requisito di esportatore abituale, al cedente non è consentito l’esercizio fraudolento del diritto di valersi del limite di esecutività correlato alla suddetta qualità di esportatore abituale qualora, anche in base ad elementi presuntivi, questi disponga di elementi tali da sospettare l’esistenza di irregolarità, gravando sul medesimo un onere di diligenza mediante l’adozione di tutte le ragionevoli misure in proprio potere (Cass., Sez. V, 15 luglio 2020, n. 14979; Cass., Sez. V, 5 aprile 2019, n. 9586; Cass., Sez. V, Sez. 5, 5 ottobre 2016, n. 19896). Il suddetto principio risulta conforme alla richiamata giurisprudenza eurounitaria (Corte di Giustizia UE, Cartrans Spedition, C-495/17, punto 41, cit.), non diversamente dallo standard di diligenza richiesto comunque al contribuente al fine di non essere coinvolto in una frode IVA.

Nella specie, il giudice di appello si è limitato a statuire «che il fornitore deve accertare (…) l’attestazione del cliente, sulla cui veridicità il fornitore non è chiamato ad effettuare alcuna indagine di merito, né sarebbe in grado di farlo», senza verificare se, in base al coacervo indiziario addotto dall’Ufficio, si sarebbe potuto dedurre, da parte di un avveduto operatore professionale, che le dichiarazioni di intento dei cessionari fossero false e che il contribuente avesse avuto modo di sospettare dell’irregolarità della documentazione. Il ricorso veniva, quindi, accolto.

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