ACCERTAMENTO FISCALE DELLE PERSONE FISICHE. ACCERTAMENTO FISCALE DELLE PERSONE FISICHE NON POSSESSORI DI REDDITI D’IMPRESA O DI LAVORO AUTONOMO. ACCERTAMENTO INDUTTIVO O ACCERTAMENTO SINTETICO? ACCERTAMENTO FONDATO SUL REDDITOMETRO. PERCHÉ È IMPORTANTE INDIVIDUARE CORRETTAMENTE LA NATURA DELL’ACCERTAMENTO FISCALE? QUALI SONO LE CONSEQUENZE PROCESSUALI?

Nel caso in esame – Sentenza Cassazione n. 21700/2020 dell’8.10.2020 – l’Amministrazione finanziaria e le Commissioni Tributarie di merito non hanno chiarito, anzi, hanno confuso le modalità d’accertamento applicate ed applicabili al contribuente persona fisica. Emergeva comunque che il Fisco ha applicato l’accertamento sintetico mediante redditometro, senza però tenere in debito conto che tale accertamento presuntivo invertiva semplicemente l’onere della prova e necessitava l’analitica verifica delle prove apportate dal contribuente. Quale conseguenza di tale confusione i Giudici del Piemonte non hanno analizzato le prove contrarie apportate dal contribuente ed hanno considerato quali prove a favore dell’A. F. i dati recuperati presso le banche che però non costituivano prove, ma semplici elementi presuntivi facenti parte dell’accertamento sintetico.

ACCERTAMENTO FISCALE DELLE PERSONE FISICHE. SULLE TIPOLOGIE DI ACCETAMENTI FICALI E PRESUPPOSTI.

L’accertamento fiscale delle persone fisiche, non possessori di redditi d’impresa o di lavoro autonomo, può essere analitico, sintetico e d’ufficio.

  1. Analitico – è il caso in cui, sebbene la dichiarazione sia incompleta o infedele, l’A. F. è in grado di determinare analiticamente, voce per voce, il maggior reddito conseguito o le indebite detrazioni e deduzioni effettuate dal contribuente.
  2. Sintetico – (ex art. 38, co. 3 e 4, DPR n. 600/73) ogni qualvolta l’accertamento analitico esprime un volume di reddito non adeguato a quello attribuibile al contribuente sulla base di elementi certi, in quanto il contribuente ha sostenuto spese che si dimostrano superiori all’ammontare del reddito analiticamente accertato(per. es mediante lo spesometro – accertamento sintetico puro – e redditometro – accertamento sintetico).
  3. Accertamento d’ufficio – in caso di omessa dichiarazione o dichiarazione radicalmente nulla – viene determinato il reddito complessivo del contribuente sulla base di dati e delle notizie comunque raccolte e di cui si è venuto a conoscenza con facoltà di avvalersi di presunzioni non qualificate (prive di requisiti di gravità, precisione e concordanza) e prescindendo, in tutto o in parte, dalle risultanze delle dichiarazioni o delle scritture contabili del contribuente.

Il reddito d’impresa delle persone fisiche e delle società commerciali, ed il reddito di lavoro autonomo degli artisti e dei professionisti, può essere determinato attraverso un accertamento analitico, accertamento analitico induttivo (ex art. 39, comma 1, lett. d) del DPR n. 600/73), accertamento induttivo (ex art. 39, comma 2 del DPR n. 600/73) e accertamento d’ufficio.

L’accertamento induttivo (ex art. 39, co. 2 del DPR n. 600/73) consente la determinazione del reddito del contribuente prescindendo dalle scritture contabili, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile. È potenzialmente più lesiva dei diritti del contribuente rispetto all’accertamento analitico induttivi, non a caso richiede tassative condizioni per la sua applicabilità.

Detto accertamento non va confuso con l’accertamento analitico-induttivo (art. 39 co. 1 lett. d) del DPR 600/73), ove, anche senza la presenza di determinati requisiti, il reddito e/o le operazioni imponibili possono essere determinati applicando presunzioni, a condizione però che siano gravi, precise e concordanti.

ACCERTAMENTO FISCALE DELLE PERSONE FISICHE. MOTIVI DELLA DECISIONE.

Cassazione Sentenza n. 21700/2020 – Presidente: Cirillo Ettore – Relatore: Federici Francesco – Data pubblicazione: 8.10.2020:

Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con la quale, a conferma della pronuncia di primo grado, era stato rigettato il ricorso avverso avvisi di accertamento effettuati mediante ricostruzione sintetica fondata sul cd. Redditometro.

1.

Con i primi due motivi il ricorrente si doleva dell’insufficienza e contraddittorietà della motivazione sulla natura dell’accertamento fiscale espletato nei suoi confronti, i quali sono stati ritenuti fondati nei termini appresso chiariti. Il ricorrente assumeva che il giudice regionale, incorrendo nel medesimo errore del giudice di primo grado, non avrebbe chiarito o avrebbe confuso le modalità d’accertamento da cui sarebbe stato attinto il contribuente, ossia

  • se da quello sintetico, disciplinato dall’art. 38, commi 4 e 6 d.P.R. n. 600 del 1973 – il cui reddito è determinato sulla base degli indici previsti dai dd. mm. del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. Redditometro oppure
  • da quello induttivo – basato sulla verifica delle movimentazioni bancarie.

Conseguentemente il vizio motivazionale avrebbe attinto la stessa identificazione dell’oggetto e della finalità della prova contraria, se cioè tesa a giustificare le spese indice di maggior reddito oppure a spiegare la compatibilità delle operazioni bancarie verificate con il reddito dichiarato.

Si evinceva però comunque che l’Amministrazione finanziaria ha provveduto ad accertare il reddito sinteticamente, ai sensi del comma 4 dell’art. 38 cit., ricorrendo ai criteri di rideterminazione basati sugli indici previsti dai dd. mm. del 10 settembre e 19 novembre 1992, cioè al cd. redditometro.

Poiché in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva (cfr. 9539/2011), è intuibile, e comunque può ipotizzarsi, che l’Amministrazione abbia fatto ricorso agli accertamenti bancari, previsti dall’art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973, come ad un quid pluris teso a rafforzare gli elementi probatori già acquisiti con il redditometro, e dunque a maggior sostegno della dimostrazione della infedele dichiarazione dei redditi del contribuente.

Restava quindi a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito ricavato dagli indici di spesa non esisteva o esisteva in misura inferiore (tra le tante, cfr. Cass., 16912/2016; 10037/2018; 27811/2018), e considerato che nel caso di specie il contribuente aveva allegato documentazione con cui giustificare le suddette spese, il giudice regionale avrebbe dovuto concentrare l’attenzione su quella documentazione.

Invece, con una sequenza logica poco chiara, la Commissione regionale si è limitata a valorizzare gli esiti delle indagini bancarie. In particolare ha evidenziato il versamento sul conto corrente di «somme consistenti» della cui disponibilità il contribuente non avrebbe dato spiegazione. Cioè la Commissione regionale, anzicchè esaminare e valutare la documentazione allegata dal contribuente per giustificare gli indici di spesa rilevati con l’accertamento sintetico dall’Agenzia, si è limitata a valorizzare quelle operazioni bancarie – ontologicamente distinte dagli indici di spesa – della cui provenienza ha sostenuto che il contribuente non avesse dato dimostrazione.

Che si tratti di elementi ontologicamente diversi lo dimostra la circostanza che quelle poste in entrata sul conto corrente del contribuente non sono state assunte come elementi giustificativi della capacità di spesa del De Ferrari, ma quale reddito da giustificare, evidentemente ulteriore ma mai contestato nell’atto impositivo, così sovrapponendo al piano dell’accertamento sintetico i meccanismi di valutazione dei redditi presunti a mezzo degli accertamenti bancari. In conclusione la motivazione risulta contraddittoria ed insufficiente sul piano della sequenza logica, deviando l’attenzione da quello che avrebbe dovuto essere l’oggetto del proprio giudizio critico, ossia dalle prove contrarie allegate dal contribuente per confutare l’addebito del maggior reddito ricostruito dall’Amministrazione con il ricorso al cd. redditometro.

2.

La Cassazione accoglieva inoltre il quinto ed il sesto motivo, che censuravano, sotto il profilo del vizio motivazionale e dell’errore di diritto, il non aver tenuto conto che il contribuente aveva allegato documentazione integrante la prova contraria rispetto all’accertamento sintetico, senza che l’Ufficio avesse contestato la suddetta documentazione, e l’aver erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento fondato sulle presunzioni di reddito determinate con ricorso al d.m. 10 settembre 1992, nonostante la prova contraria fornita dal contribuente.

A tal fine risulta che sin dalla fase del contraddittorio il contribuente a fronte del maggior reddito accertato sinteticamente con ricorso agli indici di spesa, aveva prodotto una pluralità di documenti con i quali aveva preteso di giustificare la capacità di spesa manifestata con l’acquisto di beni mobili (autovetture) e immobili (unità abitativa), nonché con l’assunzione di una collaboratrice domestica. In particolare il contribuente aveva individuato una serie di operazioni di smobilizzo patrimoniali eseguiti dal proprio coniuge. Aveva inoltre evidenziato una serie di versamenti a suo favore corrisposti dai propri genitori (industriali con elevati redditi annualmente dichiarati), le cui specifiche poste, non tutte ma molte, erano tracciabili perché riconducibili a giroconti ed assegni bancari.

Sostiene il contribuente che il giudice regionale non ha tenuto conto della suddetta documentazione. Per l’effetto avrebbe errato nell’articolazione del percorso logico a supporto della decisione e avrebbe violato le norme preposte alla disciplina dell’accertamento sintetico, che ponendo in capo al contribuente l’onere di allegare la prova contraria alle determinazioni dell’Amministrazione finanziaria sul reddito emergente dalla capacità di spesa del soggetto fiscale controllato, impone all’organo giudicante l’esame e la valutazione delle prove, di segno opposto, allegate dal contribuente e volte a dimostrare che quel maggior reddito presunto è costituito in tutto o in parte da redditi esenti, ad esempio perché proveniente da finanziamenti di terzi, o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

Al fine del più ampio rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva, nel processo, che sia instaurato a seguito di accertamenti sintetici e induttivi per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto giuridico d’imposta, costituisce principio a tutela della parità delle parti quello secondo cui all’inversione dell’onere i della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione della inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere di allegazione il contribuente abbia provveduto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo.

Il principio, a garanzia della parità e del regolare contraddittorio processuale per la corretta definizione del rapporto giuridico d’imposta, è tanto più pervasivo quanto più si rifletta sulla limitazione di accesso nel settore tributario ai mezzi di prova, in parte inibiti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992. Nel caso di specie pertanto il Collegio doveva esaminare la specifica documentazione allegata dal contribuente (operazioni di smobilizzo del coniuge, versamenti tracciabili concessi dai genitori), analiticamente valutandone ammissibilità e idoneità a giustificare la provvista necessaria a sopportare l’acquisto o il mantenimento dei beni e dei collaboratori assunti, costituenti gli indici di spesa individuati dall’Ufficio ai sensi dell’art. 38 comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973.

Dalla lettura della sentenza invece è dato evincere che tale attività è stata omessa dal giudice regionale, che ha così fatto malgoverno tanto degli elementi da selezionare al fine di formulare un giudizio critico logico ed esente da errori materiali, quanto, più in generale, delle regole giuridiche preposte all’esame delle prove.

La sentenza veniva dunque cassata e il giudizio veniva rinviato alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, che in diversa composizione, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, deciderà la controversia attenendosi ai principi di diritto somministrati.

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