COSA GIUDICATA E DIRITTO EUROPEO. NON C’È AUTORITÀ DEL GIUDICATO SE I PRINCIPI DI EQUIVALENZA E DI EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA DEI DIRITTI PREVISTI DALLA NORMATIVA EUROPEA NON SONO GARANTITI.

Cosa giudicata e diritto europeo. Il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione del diritto europeo, a meno che non risultino violati i principi di equivalenza e di effettività.

La tutela risulta effettiva nel solo caso in cui il giudice dell’esecuzione ha la possibilità di valutare, se precedentemente non è stato valutato da altro giudice, in sede di opposizione (superando il principio del giudicato), se il diritto dell’Unione è stato rispettato o meno. Ciò potrebbe verificarsi per es. quando un decreto ingiuntivo non è stato opposto ed il giudice del monitorio non ha valutato la sussistenza o meno di una violazione del diritto europeo.

Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 17.5.2022, nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19, pronunciata su domanda pregiudiziale formulata dal Tribunale di Milano.

Il ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13 stabilisce che «le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori».

Con le questioni pregiudiziali sollevate nella causa C‑693/19 e nella causa C‑831/19, il giudice del rinvio (il Tribunale di Milano) chiedeva, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. Nella causa C‑831/19, esso chiede altresì se la circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva abbia una qualsivoglia rilevanza al riguardo.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il livello di informazione (v., in particolare, sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

Alla luce di una tale situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti determinato dal contratto, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra tali parti (v., in particolare, sentenze del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti 53 e 55, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 41).

A tale riguardo, dalla giurisprudenza costante della Corte risulta che il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (sentenze del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 58, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 43).

Inoltre, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dal combinato disposto del suo articolo 7, paragrafo 1 e del suo ventiquattresimo considerando, di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori (sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C‑407/18, EU:C:2019:537, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

Se è vero che la Corte ha pertanto già inquadrato, in più occasioni e tenendo conto dei requisiti di cui all’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il modo in cui il giudice nazionale deve assicurare la tutela dei diritti che i consumatori traggono dalla direttiva in parola, ciò non toglie che, in linea di principio, il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale, e che tali procedure rientrano dunque nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio dell’autonomia processuale di questi ultimi, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., in particolare, sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C‑407/18, EU:C:2019:537, punti 45 e 46 nonché giurisprudenza ivi citata).

Ciò premesso, si deve stabilire se tali disposizioni richiedano che il giudice dell’esecuzione controlli l’eventuale carattere abusivo di clausole contrattuali a dispetto delle norme processuali nazionali che attuano il principio dell’autorità di cosa giudicata in relazione a una decisione giudiziaria che non contiene espressamente alcun esame su tale punto.

A tale riguardo, occorre ricordare l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. La Corte ha, infatti, già avuto occasione di precisare che, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (v., in particolare, sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punti 35 e 36, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 46).

La Corte ha altresì riconosciuto che la tutela del consumatore non è assoluta. In particolare, essa ha ritenuto che il diritto dell’Unione non imponga a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13 (v., in particolare, sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 37, e del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 68), fatto salvo tuttavia, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 55 della presente sentenza, il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

Per quanto attiene al principio di equivalenza, si deve rilevare che la Corte non dispone di alcun elemento tale da far sorgere dubbi quanto alla conformità della normativa nazionale di cui al procedimento principale a tale principio. Come osserva il governo italiano, risulta che il diritto nazionale non consente al giudice dell’esecuzione di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata, anche in presenza di un’eventuale violazione delle norme nazionali di ordine pubblico.

Per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha dichiarato che ogni caso in cui sorge la questione se una norma di procedura nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità, nonché, se del caso, dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenza del 22 aprile 2021, Profi Credit Slovakia, C‑485/19, EU:C:2021:313, punto 53). La Corte ha ritenuto che il rispetto del principio di effettività non può tuttavia supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato (sentenza del 1° ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary, C‑32/14, EU:C:2015:637, punto 62).

Inoltre, la Corte ha precisato che l’obbligo per gli Stati membri di garantire l’effettività dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione implica, segnatamente per i diritti derivanti dalla direttiva 93/13, un’esigenza di tutela giurisdizionale effettiva, riaffermata all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva e sancita altresì all’articolo 47 della Carta, che si applica, tra l’altro, alla definizione delle modalità procedurali relative alle azioni giudiziarie fondate su tali diritti (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance SA, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

A tal proposito, la Corte ha dichiarato che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito (sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius, C‑495/19, EU:C:2020:431, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

Ne consegue che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, alle quali si riferisce l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, non possono pregiudicare la sostanza del diritto spettante ai consumatori in forza di tale disposizione, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte richiamata, in particolare, al punto 53 della presente sentenza, di non essere vincolati da una clausola reputata abusiva (sentenze del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 71, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 51).

Nei procedimenti principali, la normativa nazionale prevede che, nell’ambito del procedimento di esecuzione dei decreti ingiuntivi non opposti, il giudice dell’esecuzione non possa esercitare un controllo nel merito del decreto ingiuntivo né controllare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di tale decreto ingiuntivo, per via dell’autorità di cosa giudicata implicita acquisita da quest’ultimo.

Orbene, una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali.

Ne consegue che, in un caso del genere, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione.

Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 56 e 57 delle conclusioni, il fatto che il debitore ignorava, al momento in cui questa precedente decisione giurisdizionale è divenuta definitiva, il proprio status di consumatore, ai sensi della direttiva 93/13, è irrilevante, poiché, come ricordato al punto 53 della presente sentenza, il giudice nazionale è tenuto a valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

Da quanto precede risulta che occorre rispondere alle questioni pregiudiziali poste nelle cause C‑693/19 e C‑831/19 dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa ‑ per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità ‑ successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo.

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